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Salvini, la Costituzione e i diritti umani

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Tra le “Panzane per Salvini”, un commento di Michele Ainis sulla repubblica cita oggi la pretesa degli avvocati del Ministro degli interni di invocare a difesa del loro cliente, accusato come è noto di sequestro di persona per aver trattenuto a bordo in condizioni di estremo disagio i migranti della nave Diciotti,  l’aver agito per un “preminente interesse pubblico”, circostanza  prevista da una legge costituzionale per consentire al Parlamento di negare l’autorizzazione a procedere. Ma quella legge, precisa il costituzionalista, evoca anche “un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante” e “le garanzie costituzionali proteggono la libertà e l’incolumità delle persone e le proteggono anzitutto dagli abusi del governo”. La Costituzione non può diventare “nemica di se stessa”. Siamo sicuri?

Il dubbio nasce dalla difficoltà per molti di riconoscere l’esistenza di diritti umani anche al di fuori dei cosiddetti diritti “civili” o del cittadino. Non solo per gli immigrati. Per chiunque non è integrato in una comunità, come i senza casa per esempio. A questo si riferiva Hannah Arendt  scrivendo del “diritto ad avere diritti”. Ma forse, come allora, stiamo assistendo oggi ad una nuova “età dei muri”  e di fronte a quella che è soltanto una nuova ondata migratoria, non più grave e pericolosa di tante che l’hanno preceduta, ad un “tracollo dei diritti umani”. Ne scrive su un volume speciale   della rivista “Testimonianze” dedicato a questi temi,  Donatella Di Cesare, docente di Filosofia all’Università “La Sapienza” di Roma. “A settant’anni dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, scrive la professoressa, ciò può apparire paradossale. Tanto più se si concepisce la storia come un ininterrotto e ineluttabile progresso”. Se non lo è è per ragioni politiche.

Già per la Rivoluzione francese “i diritti accordati all’uomo non erano che i privilegi del cittadino”. Non c’è mai stato un “diritto cosmopolitico” che garantisca i diritti umani. A dettare la legge è lo Stato sovrano. “Così quei diritti inalienabili e irriducibili, non derivanti da alcuna autorità – scrive la Di Cesare – sono naturali solo per via della naturalizzazione che la cittadinanza comporta. Chi diviene cittadino infatti si naturalizza“. E proprio gli ultimi, proprio gli esseri umani più indifesi vengono lasciati senza difesa alcuna, abbandonati o addirittura respinti “nella sfera dell’inumano”. “Risulta da qui – conclude il saggio della De Cesare, che invito a leggere per intero insieme ai tanti altri che compongono il numero speciale di Testimonianze – quella separazione fra umanitario e politico che spiega la difficoltà in cui si dibattono gli enti sovranazionali – dall’ONU fino all’Alto Commissariato per i Rifugiati – nonché le organizzazioni umanitarie, costrette o a circoscrivere la loro azione entro i limiti statali o, peggio, a replicare, loro malgrado, il paradigma biopolitico, trattando la vita umana nella sua nudità”.


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