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Regionalismo differenziato? Ricordarsi di Salvemini e di 70 anni di fallimenti

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Può un sovranista nazionalista comportarsi da sovranista regionalista? Sembrerebbe una contraddizione in termini. E invece la Lega, proprio con questa doppia faccia, sta imponendo al governo il sedicente “regionalismo differenziato”: amica degli abruzzesi e dei pastori sardi dalla Tv, sui social e nei comizi, ma nelle istituzioni realizzatrice dell’antico sogno dell’autonomia economica e funzionale delle regioni ricche. Per ora il progetto è stato bloccato, all’ultimo momento utile, in consiglio dei ministri, su iniziativa dei capi-dicastero pentastellati: si sono accorti delle molte, troppe competenze e risorse di cui sarebbero stati privati lo Stato centrale e loro stessi. Ma è sicuro che i leghisti non molleranno.
La Lega di Bossi (e del giovane Salvini) voleva la secessione del Nord e l’azzeramento dello Stato italiano, e ce l’aveva con i meridionali, brutti, sporchi e cattivi. La Lega di Salvini sinora ha mostrato la faccia feroce con l’Europa (sino a far sospettare di volerne l’azzeramento) e con i migranti morti di fame. Ma improvvisamente ecco riemergere, con la decisioni di riconoscere “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” alle Regioni a statuto ordinario – su iniziativa di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna (quest’ultima, a guida Pd, con qualche distinguo) – una concreta secessione.
Qualcuno l’ha definita in “doppiopetto”, per i modi felpati, quasi riservati, con cui questa volta la Lega stava per riuscire nel proprio intento e ci riuscirà, se verranno a mancare vigilanza democratica e capacità di controproposte unitarie da parte della sinistra e dei progressisti. Tutto questo, grazie al 17% circa del 73% del corpo elettorale ottenuto da Salvini nelle elezioni politiche del 2018, alla oggettiva debolezza del suo alleato Di Maio e soprattutto a Berlusconi e Renzi, che hanno continuato ad annullare, pur per ragioni e con metodi diversi, qualsiasi capacità di reazione da parte rispettivamente del centrodestra e del centrosinistra. E grazie anche alla benevolenza più o meno esplicita di presidenti di Regione di centrosinistra solleticati dall’idea di poter gestire direttamente un consistente flusso automatico di risorse pubbliche. Del resto, già nel 2001, per lisciare il pelo all’elettorato attratto dalla Lega, con la riforma del Titolo V della Costituzione, firmata dall’allora ministro Bassanini, il centrosinistra introdusse il cosiddetto “federalismo fiscale” e la sostanziale disuguaglianza nella prestazione dei servizi pubblici, salvo prevedere un “fondo di perequazione per i territori con minore capacità fiscale”.
Solidarietà, fondo di perequazione… Se non fosse ipocrita compassione, si tratterebbe di fatto della riproposizione di una vecchia, fallimentare politica destinata ad aiutare il Sud con misure specifiche e provvedimenti ad hoc.
“Niente leggi speciali ma riforma della politica generale”. Questo ammoniva Gaetano Salvemini nel 1945, a proposito degli interventi straordinari per il Sud, in contrasto con chi voleva la Cassa per il Mezzogiorno (poi effettivamente istituita nel 1950). E spiegava, scrivendo al meridionalista Guido Dorso: “Ogni riforma generale, se fatta nel senso necessario al benessere delle classi che lavorano e che producono, sarà utile soprattutto all’Italia meridionale. Le leggi speciali sono sterili inganni. Per un privilegio che otterrete a qualche angoletto del Mezzogiorno, vi sarà altrove chi penserà ad ottenere per sé, con braccia più lunghe e con spirito più energico, favori ben più grandi”.
Salvemini rimase inascoltato. La Casmez ha realizzato cose anche notevoli nel campo infrastrutturale”. Ma, soprattutto, non ha ridotto gli squilibri Nord-Sud, che invece sono progressivamente aumentati, insieme a corruzione e criminalità. Si è continuato per settant’anni con gli interventi straordinari, con i provvedimenti ad hoc, con misure frammentate, episodiche e casuali, mentre scompariva l’idea stessa della programmazione economica e svaniva la pratica di una vera, organica politica generale, all’interno delle quali evidentemente prevedere realisticamente priorità e azioni per il superamento degli squilibri territoriali, sociali, produttivi, ecc.. Ancora oggi, nel Governo del Cambiamento, abbiamo uno specifico “Ministro per il Sud”, la pentastellata Barbara Lezzi, come se settant’anni di fallimenti e di sprofondamento del Sud nel degrado economico e nell’abbandono non ci avessero insegnato nulla.
In realtà la questione meridionale e la stessa questione settentrionale – che ci si ostina a proporre separatamente e praticamente a contrapporre – possono essere proficuamente affrontate solo se considerate come aspetti, peraltro correlati e strettamente intrecciati, di una sola realtà.


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