A me non spaventano le rivoluzioni in Rai. Non mi spaventa l’idea di una riforma che porti la mia azienda ad uno sviluppo tecnologico, alla multipiattaforma, all’idea anche di una riorganizzazione dei modelli produttivi che passi per la definizione di ciò che serve per i diversi “momenti” di informazione: quello di tempestività, di flusso, di approfondimento e di inchiesta. È da anni che i giornalisti della Rai chiedono e propongono una riforma dell’azienda di servizio pubblico capace di farci restare al passo con i competitor. I temi, però, sono sempre gli stessi.
Il primo: fino a quando la governance aziendale sará assoggettata alla politica e al Governo, ogni progetto ha fiato corto. Leggere così da indiscrezioni stampa che si va verso la newsroom unica con la conservazione dei marchi dei Tg nel 2023, quindi a fine mandato di chi oggi dirige l’azienda, significa immaginare un progetto che rischia, come avvenuto in passato, di essere cancellato da chi arriverá dopo. Per questo sarebbe necessario dividere i destini del Governo da quelli della Rai, svuotando le fonti di nomina dalle prerogative della politica. Ma in questo caso tutti i partiti affermano questa necessità quando stanno all’opposizione per poi agire in modo diametralmente opposto quando si trovano al governo. Tutti, nessuno escluso.
Il secondo: nessuna riforma delle news può passare sopra le teste dei giornalisti ed essere calata dall’alto. Ma, sia chiaro, questo non per ragioni sindacali o di difesa della categoria. Assolutamente no. La necessità è quella di un confronto, di un tavolo unitario che metta insieme tutti i protagonisti dell’informazione Rai perché solo così si riescono a comprendere i punti di forza e di debolezza di qualsiasi progetto e, quindi, si arriva alla sintesi migliore.
Chi è sul campo comprende quelle che sono le necessità per fare al meglio il nostro lavoro. Necessità tecnologiche, di supporto, di aiuto per intervenire al meglio – per esempio – su un giornalismo multipiattaforma. Realizzare programmi, siti web, app per il web e per i social attraverso i quali i giornalisti possono fornire i propri contenuti, devono rispondere alle necessità che proprio chi lavora sul campo può fornire a chi poi deve realizzare i contenitori e gli strumenti attraverso cui raggiungere questi contenitori. Non possono essere due mondi dicotomici, che non comunicano. Altrimenti si verifica lo stesso cortocircuito che, per esempio, ha portato AVID nelle testate nazionali e DALET nelle sedi regionali, due sistemi diversi e che non comunicano tra loro.
Il terzo: la formazione non può essere pro forma. Anche per restare solo ai contenuti. Scrivere per la TV, per la radio, per il web, per televideo, per i social è cosa diversa l’una dall’altra. Le dinamiche di indicizzazione, le parole chiave, il sistema dei tag, il content management e l’utilizzo delle app di comunicazione interna per il trasferimento di file digitali per la multipiattaforma, devono essere conoscenze essenziali per un giornalista che si deve integrare con i nuovi media. E certamente dovremo essere affiancati da colleghi (forse è necessario pensare nuove figure comunque giornalistiche o para giornalistiche sul modello dei producer di rete) che abbiano la capacità di assistere e intervenire (perché qualificati) come trait d’union tra gli aspetti di contenuto e quelli tecnici quando si sta in mezzo a modelli produttivi che si integrano e cambiano di fronte ad una notizia che dal carattere di tempistivitá passa a quella di flusso per arrivare poi all’approfondimento.
Quarto tema: gli aspetti contrattuali. Se si modificano forzatamente gli aspetti produttivi, i modelli di produzione per arrivare alla definizione di multipiattaforma, anche il giornalismo dovrà avere competenze multipiattaforma. Allora dovranno essere definiti nuovi aspetti contrattuali che al momento non sono inseriti nelle regole comuni in essere nel contratto dei giornalisti Rai. Ed allora, rispedendo al mittente, se ce ne fosse l’intenzione, qualsiasi decisione che possa fare decadere la qualitá dell’informazione trasformando il giornalista in un Figaro dell’informazione, vanno palettate e ben definite le competenze ed il lavoro giornalistico “dall’altro” lavoro. Magari ragionando anche sulla riqualificazione di chi già interno all’azienda, può così crescere ed aspirare a posizioni diverse e di maggiore soddisfazione. E questo lo si può fare se si concorda che un modello di informazione che sceglie di lavorare “multipiattaforma” necessita proprio di questa nuova figura professionale simile al producer di rete ma con competenze diverse. Producer delle news che, fino ad ora, non è stato mai accettato dall’azienda perché, svolgendo mansioni giornalistiche, il rischio era quello di vertenze per la trasformazione di quella mansione in contratto giornalistico. Ma rischio che non ci sarebbe se si definisce per loro un contratto giornalistico ad hoc.
Quinto tema: il giornalismo per immagini. Tra gli aspetti vincenti della comunicazione multipiattaforma ci sono contenuti fotografici e di immagini. Ed allora, dopo anni di svuotamento dei TCO interni e dopo anni di compromissione dell’archivio Rai (causato dall’avvento del digitale e dalla di fatto esternalizzazione delle immagini), si deve ragionare anche in questo caso di una figura professionale che riporti in casa la produzione di immagini.
Ecco, questi esempi, e sono solo alcuni, definiscono l’esigenza che un piano delle news non possa essere fatto in solitudine dal management aziendale ma insieme ai giornalisti. Questo se si vuole davvero portarlo a compimento senza fermarsi ai soliti ormai logori proclami.
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