Il caso di Concita De Gregorio ha riportato all’attenzione dei media mainstream il buco nero delle querele temerarie e del connesso bavaglio che colpisce i singoli giornalisti molto più degli editori, che possono sempre dichiarare fallimento e salvarsi da richieste fuori misura. Tanto più quando dietro quell’editore c’era un partito che, salvo qualche coraggioso parlamentare, si è sempre sottratto dal portare fino in fondo la battaglia per fermare questo strumento antidemocratico.
A quanti hanno la memoria corta e gridano all’isolamento su questa emergenza, ci permettiamo di ricordare qualche passaggio che, evidentemente, si sono persi per i troppi impegni.
Articolo 21 nasce nel febbraio 2002 (diciassette anni fa) proprio per opporsi a ogni bavaglio. In quei giorni si trattava dell’editto bulgaro e delle mani sulla Rai. E praticamente dall’inizio, anche su sollecitazione di uno dei nostri più cari soci fondatori, Roberto Morrione, si è assunto l’impegno di denunciare il virus delle querele temerarie e chiedere al Parlamento una norma per fermarle, in linea con quanto già accade in paesi con una maggiore tradizione di difesa della libertà di stampa. Che non significa, ricordiamolo, licenza di diffamare: chi sbaglia paghi. Ma il prezzo dev’essere consono con le vicende riportate e la funzione pubblica che ha l’informazione. Morrione da presidente di LiberaInformazione, e affiancato sempre da Articolo21 insieme alla Fnsi, fino alla sua morte nel 2011 ha lavorato allo sportello antiquerele, con il compianto avvocato Oreste Flamminii Minuto. E Articolo 21 ha proseguito nella linea tracciata. Con convegni e vere e proprie azioni di pressione sui pochi parlamentari sensibili e coinvolgendo la Fnsi, soprattutto con il segretario Raffaele Lorusso e il presidente Beppe Giulietti, fino a offrire un supporto legale ai cronisti che non hanno un editore che si assuma l’onere della difesa.
In questa lunga storia di battaglie civili, Articolo21 ha raccolto centinaia di migliaia di firme, ha organizzato confronti anche duri con esponenti del Parlamento, anche arrivando a scontrarsi con quelli idealmente più vicini, ha lanciato campagne in difesa di giornalisti, illustri come Milena Gabanelli ma anche cronisti che lavorano nelle periferie, come Fabiana Pacella in Puglia, che continua ad avere al suo fianco sempre la Fnsi, o Roberta Polese in Veneto, quest’ultima lasciata sola dal suo editore che ha chiuso e difesa fino all’ultimo dal Sindacato giornalisti del Veneto. O più di recente con la nostra delegata alla legalità Graziella Di Mambro, a Latina. Ma ci fermiamo qui.
Convegni, corsi di formazione, sit-in davanti a Monteicitorio, raccolte di firme, evidentemente non hanno meritato l’attenzione di tutti. Purtroppo, spesso ci si accorge delle emergenze quando ci colpiscono personalmente ignorando che la marea sta salendo. Allora però, ahimè, è troppo tardi.