L’aggressione del giornalista Daniele Piervincenzi e della sua troupe al quartiere Rancitelli –il 15 febbraio scorso-di Pescara ha accesso per alcune ore “i riflettori” su quel quartiere e su quel modello criminale che si manifesta in una delle principali città dell’Abruzzo. Questa grave vicenda ci permette, partendo dal racconto dell’inchiesta giornalistica su rai 2, di parlare del fenomeno mafioso in Abruzzo. Dal servizio emerge una realtà di un quartiere dove la malavita organizzata controlla una piazza di spaccio chiusa, con vedette ed un controllo del territorio ferreo. Vengono evocati i nomi delle famiglie Spinelli, Di Rocco e Ciarelli. Famiglie tutte imparentate con i potenti clan romani dei Casamonica e degli Spada. E’ bene ricordare che l’origine di queste famiglie romane è proprio in Abruzzo ed in Molise, regioni da cui, decenni e decenni fa, queste famiglie si sono irradiate a Roma nella sua provincia e nelle altre province del Lazio. Le sentenze del Tribunale e della Corte d’Appello sugli Spada hanno attestato l’esistenza di un agguerrito clan che agisce con il metodo mafioso ovverosia con un comportamento oggettivamente idoneo ad esercitare una particolare coartazione psicologica sulle persone, con i caratteri propri dell’intimidazione derivante dall’organizzazione criminale evocata.Sui Casamonica vi sono già due sentenze, seppur di primo grado, in cui viene riconosciuto il metodo mafioso. A Latina i Di Silvio Ciarelli imparentati con i loro omologhi di Pescara si sono imposti sul territorio con una sanguinosa guerra che ha lasciato sull’asfalto morti e feriti. Anche in questo caso sono arrivate le prime condanne per estorsione aggravata dal metodo mafioso mentre a marzo si aprirà a Latina un processo per 416 bis nei confronti dei Di Silvio. E in Abruzzo?E a Pescara? Sono molte le indagini per droga che hanno colpito i Ciarelli e gli Spinelli per spaccio di stupefacenti, dalla fine degli anni 90 ad oggi. E’ il caso di un’inchiesta di qualche anno fa: l’indagine Polvere Rossa, durante la conferenza stampa dell’epoca il comandante provinciale dei carabinieri così commentava:”L’economia principale delle famiglie rom si fonda su questa attività di spaccio – ricorda il colonnello Giovanni Esposito Alaia – e sarà difficile scardinarla. C’è chi si arricchisce, chi sopravvive ma sempre con la droga hanno a che fare. Gli arrestati di questa operazione, per esempio, hanno quasi tutti precedenti specifici e quasi tutti sono imparentati tra loro. Abbiamo trovato tre sorelle, una madre e un figlio, una coppia di coniugi”. Era il 10 ottobre del 2007. Non cambia molto il 17 gennaio del 2018 quando i carabinieri arrestano dieci appartenenti alla famiglia Spinelli per concorso in spaccio di droga. Usavano ragazzi di 16-17 anni come vedette e compravano le parti di cocaina da Simone Cuppari secondo la DDA dell’Aquila un boss della ‘ndrangheta che aveva creato una cellula a Francavilla. Il nome dei Ciarelli, degli Spinelli, dei Di Rocco ha un peso anche in Abruzzo, una fama criminale che induce al silenzio. Una fama criminale che è uno degli elementi cardine per la contestazione del reato di associazione mafiosa. I collegamenti tra queste famiglie emergono in diverse inchieste, da Gramigna ad Eclissi. Collegamenti con l’Abruzzo ed il Molise.
L’Abruzzo purtroppo non è più un’isola felice anche per quanto concerne la presenza delle mafie “tradizionali” lo testimoniano numerose indagini contro i clan della ‘ndrangheta e della camorra. Basti ricordare il processo che si sta celebrando-con enormi difficoltà innanzi al Tribunale di Pescara: 108 gli imputati coinvolti nel processo, nel 2016 furono eseguite 25 misure cautelari per associazione a delinquere di stampo mafioso e sequestrati oltre 300 chilogrammi di droga, insieme a fucili, mitragliatori, pistole e munizioni. Gli interessi criminali del clan riguardavano i comuni di Vasto e San Salvo, che sarebbero state le basi operative del clan Ferrazzo di Mesoraca (Crotone). Davanti al tribunale di Chieti si stà svolgendo un processo che vede imputati 31 persone per associazione di stampo mafioso. Quella che Simone Cuppari, 36 anni residente a Francavilla, è la figura di spicco ritenuto il capo del clan attivo tra le province di Chieti e Pescara, al termine di un’operazione svolta dai carabinieri di Chieti. Associazione a delinquere di stampo mafioso, traffico di stupefacenti, usura, estorsione e attentati incendiari sono i reati principali di cui sono accusati, a vario titolo, i 31 imputati. La relazione della DNA del 2017 a proposito del clan ha scritto:” un capo clan (Ferrazzo Felice) già collaboratore di giustizia, ha riunito la famiglia prima in Molise e successivamente in Abruzzo ed ha ricostituito grazie all’apporto criminoso del figlio (unico a non aver aderito al predetto programma di protezione) una modalità di controllo del territorio simile a quella da lui conosciuta, mantenendo il gruppo sempre in attivo con contanti scaturiti dal traffico internazionale di stupefacenti ed ampliando il suo sguardo verso criminalità straniere e stanziali”. A San Salvo le indagini della Dda dell’Aquila hanno colpito nel dicembre del 2018 un gruppo criminale di albanesi dedito al narco traffico. Una potente organizzazione albanese quella di San Salvo che non disdegna l’uso delle armi come emerso negli atti dell’inchiesta che raccontano di regolamenti dei conti e agguati. In Abruzzo non manca la presenza della camorra come ricorda la relazione della DNA del 2017:” Nel maggio del 2016 il Tribunale di Vasto ha riconosciuto in Abruzzo l’operatività di una autonoma associazione di stampo camorristico che ha gestito il territorio dal 2003 al 2011. In particolare, la sentenza del processo, ha rivelato l’esistenza di un sodalizio criminale, di matrice camorrista, trasferitosi in Abruzzo a seguito di provvedimenti dell’autorità giudiziaria – e attivo sul litorale della provincia di Chieti – dedito al traffico di sostanze stupefacenti, alle estorsioni, a tentati omicidi e al controllo del territorio, facente capo a Cozzolino Lorenzo. Egli, elemento apicale di una fazione scissionista del clan “Vollaro” di Portici, riconosciuta quale una delle consorterie storiche della camorra dell’hinterland napoletano, si è trasferito in Abruzzo unitamente alla sua famiglia anche a seguito delle cruente contrapposizioni all’interno del clan. Nel chietino, insieme alla sua famiglia e ad altri affiliati a clan camorristici tra i quali Martusciello Fabio, del clan Cimmino, Mango Marco e Di Bello Rosario, del clan Di Lauro (sottrattisi alle ripetute guerre di camorra), ha formato tra il 2002 ed il 2003 un agguerrito gruppo criminale, gerarchicamente strutturato, in grado di gestire con modalità tipicamente mafiose una pluralità di attività illecite nell’area compresa tra Francavilla, Vasto, San Salvo ed altri comuni del chietino, ove estendeva progressivamente la propria influenza sulla eterogenea e meno strutturata criminalità autoctona”. La Corte d’Appello de L’Aquila ha successivamente riformato la sentenza di primo grado escludendo l’esistenza di un’associazione di stampo mafioso. Tra “avanzate” e ritirate la lotta alle mafie in Abruzzo subisce colpi, eppure la storia, anche giudiziaria, di questo paese ci insegna che la sottovalutazione e “il negazionismo” di fronte ai fenomeni mafiosi ha portate le mafie ed in modelli mafiosi a colonizzare intere regioni del centro nord dalla Lombardia, alla Liguria, al Lazio al Veneto. L’Abruzzo sembra vivere una stagione che il Lazio fatica ancora a lasciarsi dietro le spalle, la stagione del “negazionismo” mafioso, delle piccole bande, Abruzzo e Lazio purtroppo hanno molte vicende in comune il boss della mafia di Ostia Carmine Fasciani era originario di un piccolo paese abruzzese Capistrello mentre lo stesso Abruzzo ha dato i natali ai Casamonica e ad altri clan di origine nomade..