Altro che mafia che batte in ritirata, altro che un capo mafia, il latitante Matteo Messina Denaro, che non comanda più. La “fotografia” su Cosa nostra trapanese che è possibile trarre leggendo l’ultima relazione semestrale della Dia, è spietata e fa aprire gli occhi, certo…a chi li vuole aprire. La galassia Messina Denaro continua a funzionare. Il sistema che Messina Denaro ha saputo creare e che grazie al “contributo” di certuni, politici, colletti bianchi, burocrati venduti e corrotti, è diventato da cerchio illegale in cerchio legale, è ancora qui presente, grazie all’aiuto che puntualmente arriva da certa massoneria che ha aperto le sue logge trasformandole in camere di compensazione di certi affari.
Massoneria che ha agevolato l’evoluzione di questo “sistema mafioso” che ha colonizzato il territorio trapanese, ha condizionato, e condiziona, l’economia e gli apparati pubblici, i rapporti tra mafia e politica. Un cerchio magico che oggi nel trapanese cerca di recuperare da sequestri e confische certe ricchezze mafiose, impedire che altri sequestri e confische possano essere compiuti, cerchio magico che talvolta condiziona o cerca di condizionare l’informazione, tanto che oggi si continua spesso a sparlare dell’antimafia per non parlare, illuminare la mafia, che a Trapani resta …borghese e per questo ancora più potente di quella mafia fatta di coppole e lupare.
Trapani e la sua terra bellissima continua a dare per colpa di alcuni rifugio sicuro a Matteo Messina Denaro, ricercato dal 1993. Matteo Messina Denaro non è solo il capo mafia della provincia di Trapani ma è anche il custode dei segreti degli accordi tra la mafia e lo Stato. Di questo dobbiamo ricordarcene quando ascoltiamo chi invece ne tratteggia caratteri e fisionomie proprie di uno sconfitto e di uno che non comanda. Matteo Messina Denaro è l’ultimo protagonista rimasto libero di quella stagione di sangue, di quelle mattanze dove hanno perso la vita fedeli servitori dello Stato e delle comunità, che hanno colpito il nostro Paese nel 1992 e nel 1993. Ma è anche il protagonista e forse non solo per l’eredità raccolta dal padre, don Ciccio Messina Denaro, di altre pagine insanguinate, i delitti di Ciaccio Montalto, Alberto Giacomelli e Mauro Rostagno, la strage di Pizzolungo, i traffici di armi e droga con coperture eccezionali da parte di pezzi deviati dello Stato, come Gladio per esempio.
Matteo Messina Denaro è potente quanto pericoloso perché di tutto questo è stato protagonista diretto e indiretto, è l’uomo che sa guidare gli eserciti, ma che sa anche incontrare e parlare con i potenti della politica e non solo. Per la Dia quindi la sua mancata cattura resta “una questione irrisolta” , coperta da “rapporti, consolidati, risalenti nel tempo, con uomini d’onore dei mandamenti strategici palermitani”. In determinati indagini è venuto fuori, dalle intercettazioni, la sua abilità a comandare la provincia di Trapani, nonostante una sua “assenza” dal territorio, ma potrebbe trattarsi, diciamo noi, di una assenza finta, il boss non incontra e non parla direttamente con nessuno, utilizza i “pizzini”, anche alcuni suoi accoliti hanno la sensazione che egli non abiti ancora in questa terra, ma questa potrebbe essere solo un escamotage, far credere ciò che non è vero, i capi mafia non lasciano mai la loro terra. La cerchia di complici, molti colletti bianchi, sono così cresciuti all’ombra del boss da non avere bisogno di contatti diretti, ma lui, il capo mafia, non li perde di vista, e per farlo non può permettersi di stare lontano dalla sua terra. Forse se ne allontana in tempi di burrasca, per poi fare sempre ritorno.
La mafia trapanese resta quella di sempre. Con i quattro mandamenti e le sue 17 famiglie, con i cognomi che si ripetono, con gli eredi di vecchi capi mafia che si sono messi nuovamente a disposizione. La provincia di Trapani resta una provincia dove ad alcuni piace mafiare, dove questi soggetti spregevoli si sentono i padroni della terra, che in un modo o in un altro ottengono quello che più vogliono, far passare per vittime i carnefici e le vittime, ieri ammazzate oggi delegittimate, restano sempre persone che se la sono andata a cercare, soggetti che usano l’arma della prevaricazione, che in un modo o in un altro fanno arrivare il messaggio che già da solo incute paura, “te la posso far pagare se non ubbidisci”. “Cosa nostra trapanese – si legge nella relazione della Dia – si conferma una struttura ancora vitale, dinamica e plasmabile a seconda dei mutamenti delle condizioni esterne. In un quadro generale così delineato, è viva la capacità di imporre il rispetto di regole condivise, che consentano agli affiliati di identificarsi nell’organizzazione, e ciò rappresenta sempre il migliore collante per garantirne la sopravvivenza”.
Il pericolo mafioso a Trapani e provincia è dunque vivo, è acceso, non è spento, Cosa nostra trapanese trova poi in certe fasce sociali, in alcuni giovani , i nuovi affiliati, nell’individuazione dei soggetti da affiliare, “sono picciotti sicuri” quelli “preferibilmente appartenenti a famiglie di chiara tradizione mafiosa” ma ci sono anche quelli che guardano alla mafia, perché in grado di dare “denaro e potere”. La mafia trapanese è forte perché ancora oggi in questa terra il pentitismo non fa proseliti, in carcere tanti ci sono finiti, ma mai nessuno ha deciso di raccontare i segreti dell’organizzazione. Solo in pochi lo hanno fatto e per loro, contro di loro, il tam tam mafioso ha funzionato, sono passati per degli untori. Il lavoro nei Tribunali e nei Palazzi di Giustizia resta difficile ed ardimentoso per chi vuole combattere Cosa nostra e complici, l’area grigia, ci sono magistrati e giudici che si spendono, a fronte di altri loro colleghi che hanno deciso la retrovia. Ci sono ancora troppi ventri molli facili da sfondare.
Falcone e Borsellino cominciarono a morire quando dopo una stagione esaltante di vittorie processuali cominciarono a dovere fare i conti con l’avversione dei loro colleghi. E abbiamo la sensazione che oggi di questi scenari se ne possa parlare utilizzando il verbo passato. Per tornare alla relazione della Dia “la provincia di Trapani continua ad essere dominata da Cosa nostra, che monopolizza la gestione delle più remunerative attività illegali e condiziona perniciosamente il contesto socio-economico dell’intero territorio provinciale, avvalendosi di sperimentati modelli operativi, caratterizzati sia da una significativa forza di intimidazione che dell’opera di professionisti e soggetti insospettabili”. Il contrasto, nonostante tutto, continua ma il reticolo di protezione del sistema mafioso targato Messina Denaro continua a dimostrare una capacità di risorgere come l’araba fenice e “l’organizzazione criminale non presenta segnali di cambiamento organizzativi, strutturali o di leadership. La struttura continua a mantenere la tradizionale unitarietà e gerarchia, disciplinata da regole vincolanti, che le consentono di rimanere fortemente ancorata al territorio d’origine”. Così come non è stata del tutto infiacchita Cosa nostra a Palermo nonostante gli ultimi arresti, anche a palermo la Dia indica il pericolo dei giovani che coltivano il desiderio di diventare mafiosi, mentre ci sono capi che rincorrono la possibilità di scalare il potere. Scenario per la Dia allarmante: “Non è anche da escludere che, alla luce della non chiara evoluzione del quadro descritto, le articolate dinamiche dell’organizzazione possano sfociare in atti di violenza particolarmente cruenti”. Pericolo nuovi omicidi.