Abu Jafar non sapeva che il suo nome sarebbe stato, spesso a loro stessa insaputa, sulla bocca di tutti gli operatori dell’audiovisivo degli anni venti (secolo presente). Nessuno degli addetti ai lavori può, infatti, fare a meno di pronunciare almeno una volta la parola “algoritmo” per indicare il futuro del settore, i possibili sviluppi industriali, i limiti cui si andrebbe incontro, inevitabilmente, se lo si ignorasse.
Ora è bene che si sappia che “algoritmo” non ha nulla di stupefacente e di misterioso, visto, tra l’altro, che non è “scoperta” recente, ma del IX secolo D.C. (se non si vuol risalire ai cd papiri di Ahmes del secolo XVII ma A.C.). Non è altro che un procedimento con determinate caratteristiche (atomicità, non ambiguità, finitezza, terminazione, effettività) intuitivamente tradotte nella definizione informale “sequenza ordinata e finita di passi elementari volti ad un risultato determinato in un tempo finito” (se si vuole, anche il procedimento amministrativo è un algoritmo).
La novità dell’algoritmo non è quindi nella sua definizione, ma nella sua utilizzazione, allorquando nell’epoca presente, macchine capaci di calcolo supercomputazionale sono in grado di processare innumerevoli algoritmi e quindi di calcolare risultati a mente incalcolabili. Tale capacità, se applicata ai cd big data, consente di strutturare una enorme quantità di informazioni, direzionandola attraverso modelli procedimentali informatico/matematici verso un determinato risultato ritenuto utile.
L’alfiere dell’algoritmo di questi ultimi tempi è Netflix, che ha fatto dell’algoritmo una chiave di successo. L’accuratissima e analitica strutturazione dei big data di cui è in possesso oramai va oltre la profilazione degli utenti per carpirne le preferenze in termini di prodotto audiovisivo. Netflix ormai punta al cd consiglio predittivo!! “E’ il mondo che ti è stato messo davanti agli occhi per nasconderti la verità” (dice Morpheus a Neo in Matrix). L’utente non decide sull’offerta consigliata di Netflix, al 90% decide quello che Netflix gli ha consigliato. Sulla scorta di tali immaginifiche potenzialità il passo è stato breve perché si invocasse da più parti la urgente ed ineluttabile applicazione degli algoritmi anche al servizio pubblico radiotelevisivo, quanto meno per “non rimanere indietro”. Una prima concreta applicazione è stata già individuata in riferimento alla cd coesione sociale, un nuovo obiettivo di servizio pubblico introdotto nel nuovo Contratto di servizio.
Tuttavia, proprio a partire dalle ipotesi di applicazione degli algoritmi alla coesione sociale appare critica l’idoneità dell’algoritmo a conseguire il risultato. La coesione sociale si consegue esclusivamente attraverso la più ampia partecipazione, il più alto grado di rappresentatività, la più vasta capacità di interpretazione delle esigenze della collettività nazionale. Un processo, quindi, in necessario costante divenire, non cristallizzabile in passi procedimentali finiti, elementari, calcolabili. Come diceva Kurt Goedel nel suo famoso teorema i processi logici completi (come l’algoritmo) sono necessariamente incoerenti, i processi coerenti sono necessariamente incompleti. Ciò significa che l’applicazione dell’algoritmo va bene per comunità di utenti, non per collettività di cittadini. Per tornare all’esempio di Netflix, la massima aspirazione è sfruttare l’effetto filter bubble, escludere l’utente da ciò che (pretesamente) non lo interessa e costringerlo a concentrarsi sul limitato mondo costituito dalla propria sfera autoreferenziale, come in una bolla dalla quale non si possa più uscire. Contrario dovrebbe essere lo scopo del servizio pubblico radiotelevisivo, far esplodere le bolle che inviluppano gli utenti per farli partecipare alla vita di cittadini. In diritto romano si era cittadini quando si varcava il Foro (etimologicamente la porta), che divideva la vita privata da quella pubblica, e si partecipava alle funzioni politiche, amministrative, religiose, militari, giurisdizionali, ed essere considerato “privato” era una sanzione (in quanto il soggetto veniva “privato” della vita pubblica). Va da sé che la partecipazione alle funzioni pubbliche è talmente complessa che non può essere costretta in alcun algoritmo, essendo per definizione incompleta in quanto frutto di continua interazione tra le diverse istanze sociali, non calcolabile né finita. Per tale motivo il servizio pubblico ha (e deve avere) una natura ontologicamente diversa dalle televisioni private ed infatti si distingue per il cordone ombelicale che lo lega alla collettività nazionale. Solo la Rai ha consiglieri di amministrazione eletti nientemeno che da Camera e Senato, solo la Rai è vigilata e indirizzata da una Commissione parlamentare che è bicamerale (un piccolo parlamentino), solo la Rai ha come azionista il Governo, quindi con legami istituzionali ineludibili e non sottoponibili ad una mera logica di mercato (meno che mai algoritmico). Cionondimeno alla Rai si chiede di essere indipendente da tali poteri, nonostante i detti vincoli istituzionali, una sorta di mission impossible!!
Per rispettare i propri vincoli istituzionali e nel contempo essere indipendente il servizio pubblico deve necessariamente essere coerente rispetto al pubblico ed incompleto rispetto ai propri “editori”. In questo consiste l’indipendenza, nell’assicurare rappresentatività alle istanze della collettività nazionale senza che tale rappresentatività diventi rappresentanza, con o senza vincolo di mandato (una cosa è farsi rappresentante, ben altra cosa è saper essere rappresentativi, peraltro in modo obiettivo, completo, imparziale, di quanto accade nella comunità nazionale in termini di rilevanza sociale, interesse collettivo, valenza istituzionale, incidenza nella vita dei cittadini). Sta alla cultura, alla preparazione, all’autonomia degli operatori del servizio pubblico radiotelevisivo riuscirvi, non agli algoritmi.
E’ dei giorni scorsi la notizia che Google ha inserito Salvini tra i grandi scrittori. Colpa dell’algoritmo, si è detto, che avrebbe incluso tra i suoi big data dichiarazioni del Vice Premier su Gianni Brera “grande scrittore e giornalista” e quindi per “associazione algoritmica”, implicante una sorta di attrazione gravitazionale, Salvini è stato considerato come “avente a che fare” con i grandi scrittori.
Abu Jafar è Al-Khwarizmi, il matematico persiano da cui prese il nome l’Algoritmo, ma non sapeva che a lui Salvini deve l’ingresso nel Gotha dei grandi scrittori!