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Il pericolo dell'”odio ergo sum”

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Giornalisti precari, direttori di testata, disoccupati, studenti di un liceo romano, freelance, curatori di contenitori informativi, coordinatori di new-media, pensionati, sindacalisti: era questa la platea che ha riempito la sala Tobagi della Federazione Nazionale della Stampa Italiana per ascoltare prima e discutere con il direttore de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, che ha illustrato il messaggio di papa Francesco sulle comunicazioni e quindi risposto alle osservazioni, domande e sollecitazioni della platea. Un incontro voluto da Fnsi, Articolo21, Ordine dei Giornalisti del Lazio, Usigrai e Ucsi, appassionato e senza confini confessionali, come sovente accade quando si parla di testi di un papa che sa porsi come leader morale di un mondo confuso, nel quale sembra diffondersi un pensiero che trasforma il più famoso principio cartesiano, “cogito ergo sum”, in “odio ergo sum”.

Padre Spadaro, che già nel 2017 ha saputo sottolineare il pericolo di quello che molto hanno capito essere l’ “ecumenismo dell’odio” che è partito da certi ambienti evangelicali e cattolici statunitensi, ha preso le mosse da quello che in certo senso è stato il secondo messaggio per le comunicazioni sociali, pronunciato da Francesco poche ore le divulgazioni di quello ufficiale a Panama. Rivolgendosi ai vescovi il papa infatti ha detto: “ Mi preoccupa molto come la compassione abbia perso la sua centralità nella Chiesa. Anche gruppi cattolici l’hanno persa- o la stanno perdendo, per non essere pessimisti. Anche nei mezzi di comunicazione cattolici la compassione non c’è. C’è lo scisma, la condanna, la cattiveria, l’accanimento, la sopravvalutazione di sé, la denuncia dell’eresia… Che non si perda nella nostra Chiesa la compassione.”

L’agenzia dei vescovi, Agensir, ha colto il punto, tanto è vero che dando conto dell’incontro ha esordito citando così padre Spadaro: “Lo stesso concetto cristiano di prossimo è in crisi”. Padre Spadaro ha richiamato in particolare l’importanza di una realtà nuova, quando il papa “critica la denuncia dell’eresia”… Tornando al commento dell’Agensir è importante notare la sintesi molto acuta di un altro passaggio cruciale, in cui il direttore di Civiltà Cattolica, da sempre molto attento alla comunicazione ai tempi di internet, si è soffermato proprio sul web:  “Quando postiamo qualcosa sui social pensiamo che gli altri la vedano. Se nessuno mette i like nei primi 10 minuti a ciò che pubblichiamo ci disperiamo”. “Il nostro lavoro ha un impatto diretto sull’umanità condivisa. Il Papa accanto al titolo del messaggio ha posto una citazione di San Paolo nella lettera agli Efesini: “Siamo membra gli uni degli altri”.  La domanda di una democrazia diretta sembra oggi mettere in crisi la democrazia rappresentativa.  La rete sembra essere luogo di azione e strumento di azione. C’è un problema ma anche una sfida da cogliere: non si può far più finta che la rete non esista, il consenso si formerà anche in rete e il disagio si formerà soprattutto lì”. Il direttore di Civiltà Cattolica si è chiesto poi come trasformare la rete in forme di partecipazione democratica senza farla scadere nella demagogia.  “La questione è come la rete plasma la realtà – ha osservato -. Come cambia il nostro modo di vivere insieme e il fare politica. Il nostro problema è che abbiamo pensato finora alla rete come a una cosa per ragazzini. Occorre ricordare che la maggior parte di noi si sente abitanti di Italia ma non cittadini. Senza partecipazione la democrazia si atrofizza. Ecco la sfida della comunicazione: operare per costruire non per distruggere”.

Un altro passaggio molto importante è stato quello in cui il direttore della Civiltà Cattolica ha sottolineato la convergenza “a volte anche terminologica” tra il papa e il presidente Mattarella, entrambi attentissimi al vero concetto di comunità e di popolo, che papa Francesco ha definito frutto “della scelta consapevole di vivere insieme”. Mattarella nel suo messaggio di fine anno ha affermato che «la vera sicurezza si realizza, con efficacia, preservando e garantendo i valori positivi della convivenza».

E qui è intervenuta, tra tante osservazioni degli intervenuti, la testimonianza importantissima di Nello Scavo, l’inviato di Avvenire che ha raccontato tantissime pagine della tragedia del Mediterraneo e che oggi riceverà un importante riconoscimento. Scavo, che ha seguito lo sbarco dei profughi della Sea Watch, ha raccontato che uno di loro prima di sbarcare si è tolto le scarpe, si è inginocchiato e ha pregato il suo Dio. Era quella la preghiera di un cristiano, come dimostrava il crocifisso che aveva al collo, un cristiano originario di un paese mediorientale, che seguiva il suo rito. Così Scavo, con questa osservazione, ha fatto capire quello che Spadaro ha spiegato ancora della scelta di Francesco di porre l’immagine del Buon Samaritano come definizione del comunicatore: il giornalista tutto sommato deve toccare le ferite della cronaca, per raccontarla. Per agire in modo conforme in questi tempi complessi nei quali si tenta di usare l’informazione per minare la credibilità dell’avversario, l’informazione farà bene a cogliere bene il monito contenuto nella citazione de “ Il gattopardo” con cui padre Spadaro ha concluso il suo intervento:  «Viviamo in una realtà mobile alla quale cerchiamo di adattarci come le alghe si piegano sotto la spinta del mare». A questo bisogna reagire, “riconnettendosi.”


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