Non occorre consultare la Treccani, basta Wikipedia: il Golfo Persico è internazionalmente riconosciuto come Golfo Persico, punto. Anche se “nell’ambito della cultura araba”, riconosce l’Enciclopedia italiana con implicito riferimento ad annose dispute tra l’Iran ed i Paesi arabi che vi si affacciano, a quel Golfo è attribuito il nome di Arabico. Anche per il Corriere della Sera evidentemente è così, a meno che non si tratti di un errore. Per la visita di papa Francesco negli Emirati Arabi Uniti il quotidiano ha infatti scelto per un pezzo del 4 febbraio il titolo “Dialogo con l’Islam e appello per lo Yemen. Prima volta di un Papa nel Golfo d’Arabia”.
Fra i primi ad accorgersene sono stati alcuni italiani residenti per lavoro in Iran, che hanno subito dato il via ad un tam-tam di condivisioni e commenti negativi e ironici sui social network. Forse così non sarebbe stato se ad usare volutamente il termine Golfo Arabico non fosse già stato il presidente Usa, Donald Trump, nel suo primo intervento all’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2017, primo atto pubblico della sua nuova strategia di massima pressione sull’Iran: in quella occasione una raffica di dissensi e ironie era dilagata sui social media, in prima fila gli iraniani di ogni posizione politica. Iraniani i quali, come è noto, prima di sentirsi, volenti o nolenti, cittadini della Repubblica Islamica, sono convinti e ferventi nazionalisti (e questo nazionalismo è stato finora uno straordinario collante interno di fronte alle minacce esterne).
Ecco dunque che la pagina del Corriere finisce su Facebook e Twitter. “Cambiamo anche i nomi Golfo d’Arabia invece che Golfo Persico… Così scopriamo nuovi luoghi… Il Papa fa un viaggio di pace per aprire un dialogo e il Corriere semina vento… Raccoglierà tempesta…”. Si legge in uno dei post che compaiono per esempio sul gruppo Facebook Amici della Persia, che danno il via a condivisioni e commenti. A firmarlo Tiziana Buccico, già vice-presidente della Scuola italiana a Teheran e da poco rientrata a Roma dopo otto anni trascorsi in quel Paese. Una piccola rivolta almeno per ora, ma con decine di dissensi bipartisan da parte di italiani e iraniani – forse a riprova del fatto che l’Italia può ancora continuare a fare da cerniera di dialogo con l’Iran, nella direzione seguita per decenni anche dalla nostra diplomazia.
“Caro Corriere, si chiama Golfo Persico!”, scrive l’attore italo-iraniano Babak Karimi, uno dei preferiti del grande regista Ashgar Farhadi, e che divide la sua vita tra l’Iran e Roma, dove ha abitato per 40 anni. “Su tutti i libri di storia – aggiunge al telefono da Teheran – il Golfo è chiamato così”. E’ “un po’ come se la Francia cercasse di imporre il termine ‘mar di Provenza’ per il Tirreno, o l’Albania ‘mar di Durazzo’ per l’Adriatico”, è il paragone scelto da un utente, mentre un altro criticamente osserva: “Sicuramente il Corriere avrà consultato il ministero degli Esteri, questa è la tipica politica Italiana che non decide mai da che (parte, ndr) stare”.
Al di là delle questioni nominalistiche – ma si sa che le parole possono pesare come pietre in certi contesti di tensione – il titolo del quotidiano – che nel pezzo parlava però correttamente di “penisola” arabica – si inserisce in una fase in cui è particolarmente acuta l’offensiva di Trump e dei suoi falchi contro l’Iran.
Lo ricorda Alberto Negri oggi sul Manifesto: “Questa missione del Papa è stata usata dalla monarchia assoluta del principe Mohammed bin Zayed per rifarsi un’immagine deteriorata: gli Emirati finanziano un esercito di 30mila mercenari per far fuori gli Houthi sciiti e i civili yemeniti in una coalizione araba guidata dall’Arabia Saudita e sostenuta dagli Stati Uniti. (…).Ma soprattutto si capisce molto bene che sdoganare moralmente le famiglie regnanti del Golfo come quella degli Emirati, legate all’Arabia Saudita – e ormai più o meno direttamente anche a Israele – ha un obiettivo politico ben preciso: quello di stringere in una morsa, utilizzando anche operazioni di immagine, l’Iran, il vero nemico degli assolutisti e dei jihadisti sunniti, che ha colto insieme alla Russia il successo di tenere in piedi il regime di Bashar Assad e che appoggia i ribelli Houthi in Yemen”. (…). Spiace che il papa sia caduto in una trappola del genere, come se qui non sapessimo che se ci sono state delle potenze ostili alle minoranze e ai cristiani sono proprio le monarchie del Golfo che hanno appoggiato persino l’Isis e i jihadisti pur di far fuori i regimi sciiti e anche i cristiani.