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Il governo Salvi-Maio vuole la morte di Radio Radicale

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Non hanno compreso il suo valore politico-culturale? O, piuttosto, l’hanno compreso benissimo?

“Radio Radicale” nasce tra la fine del 1975 e l’inizio del 1976 per intuizione e volontà di Marco Pannella. Ne posso parlare con una certa cognizione, perché a lungo vi ho lavorato, come redattore, cronista parlamentare, e tuttora – sia pure sporadicamente – vi collaboro con commenti e interviste. “L’avventura” comincia con un gruppo di militanti stipati in un appartamento di una sessantina di metri quadrati in via di Villa Pamphili, nel quartiere Gianicolense di Roma. E’ una delle prime radio private, tutto è molto arrangiato e di “fortuna”. Le pareti, per dire, sono insonorizzate con coperte di confezioni di uova. “Radio Radicale” si caratterizza subito per una sua particolare e specifica filosofia editoriale: non fa “controinformazione”, come altre emittenti dicono (e fanno). Piuttosto “informazione altra”. Non è pura questione semantica. E’ cercare di dimostrare come in concreto sia possibile fare davvero “servizio pubblico di informazione”.

Fino ad allora, per esempio, la conoscenza di quanto accadeva in Parlamento, le sedute in Aula e più raramente le Commissioni, era affidata a scarni riassunti di cronisti poi diffusi nei notiziari radio-televisivi o nei “pastoni” dei quotidiani. L’intuizione pannelliana è di trasmettere integralmente le sedute, senza interruzioni; e di far conoscere interventi e “atti parlamentari” di tutti: il prestigioso leader di partito come l’oscuro “peones” a malapena conosciuto dai suoi elettori.

“L’integrità del documento” e la sua conservazione: questa l’ “ossessione” di Pannella. Ecco dunque che “Radio Radicale” diventa “Radio Parlamento”, ma anche “Radio Giustizia”, dal momento che trasmette integralmente tutte le udienze dei processi più rilevanti, destinati a segnare inevitabilmente la vita del paese: quelli di mafia, ma anche i grandi processi contro i fenomeni corruttivi, da “Mani Pulite” in poi. Non solo: le sedute del Parlamento Europeo; i congressi di tutti i partiti, le manifestazioni, i convegni, i dibattiti, le presentazioni di libri, gli eventi culturali… Con l’andare del tempo (e con il supporto di nuove tecnologie, che consentono ora la registrazione audio-video), si è costituita una “biblioteca” unica in Italia, probabilmente in Europa, chissà nel resto del mondo: quasi mezzo milione di documenti, una fonte preziosissima per l’oggi (il tutto è consultabile gratuitamente via internet), ma soprattutto indispensabile per gli storici e i ricercatori di “domani”: hanno, avranno, a disposizione l’integrità del documento. Potranno cogliere, oltre al “testo” il “contesto”, le espressioni, i rumori, i “contorni” di una situazione. Ecco: questo è lo straordinario patrimonio storico, culturale, politico anche (nel senso più alto e nobile del termine), costituito da “Radio Radicale”: una straordinaria fonte di conoscenza. Per tutti, di tutti.

Si dice che una minestra non è mai gratis, un costo c’è sempre. Vale anche per la “Radio Radicale”. I tecnici che assicurano le registrazioni, la messa in onda; la digitalizzazione e archiviazione dei materiali raccolti; la possibilità di trasmetterli, comportano milioni di spese. Per un certo periodo, si attingeva alla quota di finanziamento pubblico spettante al Partito Radicale, quando era presente in Parlamento; per una scelta condivisibile o meno, il Partito Radicale ha deciso da tempo di seguire una sua vocazione transnazionale e transpartita, e in quanto tale non beneficia più del pubblico finanziamento. Peraltro, ha deciso di non avere pubblicità, che fatalmente ne condizionerebbe scelte e indirizzo. Fino a ieri la vita dell’emittente era garantita con una “convenzione” con lo Stato: in cambio del denaro necessario per le trasmissioni, l’emittente si impegnava a trasmettere (appunto “servizio pubblico”), sedute parlamentari, congressi, dibattiti, e quant’altro. Impeccabile servizio, da nessuno mai contestato, unanimemente riconosciuto ed elogiato; ne fanno fede i tantissimi attestati, di tutte le parti politiche e culturali.

Tutto bene, fino all’avvento del governo giallo-verde (o si dovrebbe dire: verde-giallo?). Fra qualche mese, per volontà del governo presieduto da Giuseppe Conte la convenzione non verrà rinnovata. Il finanziamento per questo “servizio pubblico” non verrà più erogato. Il cittadino non verrà più messo nella condizione di “conoscere per poter deliberare”, per usare una celebre massima di Luigi Einaudi. Per gli storici e i ricercatori del futuro, niente più “fonti” per cercare di capire i tempi che viviamo.

C’è chi dice che il governo Salvi-Maio non ha ben compreso il valore e l’importanza del ruolo svolto da “Radio Radicale”, il patrimonio unico che costituisce. Non sono d’accordo. Secondo me l’hanno compreso benissimo, e proprio perché sanno, fanno quello che fanno.  Ad ogni modo, per colpa o per dolo che sia, sempre di delitto si tratta. E tanti che pur potrebbero fare qualcosa, stanno a guardare, preda di serena indifferenza.

da jobsnews


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