Questa mattina, in un’affollatissima Sala degli Arazzi di Viale Mazzini, è stata presentata la 64ª edizione dei David di Donatello, senza dubbio il più importante (o comunque il più famoso) premio del mondo cinematografico italiano: come nel 2018, anche quest’anno si conferma l’alleanza tra il David e la Rai, che è rientrata in campo dopo un’incursione di Sky Italia durata un paio di anni (trasmissione, in versione condotta da Alessandro Cattelan, che ha comunque avuto il merito di togliere la polvere che si era venuta a depositare sulla kermesse, nella sua deriva passatista). L’edizione 2019 andrà in onda mercoledì 27 marzo in diretta in prima serata su Rai 1, con la conduzione (non esattamente innovativa) di Paolo Conti.
Ancora una volta, toni autocelebrativi, anzi quasi trionfali (?!) e narcisismo a gogò.
Assenti, ancora una volta, sia il Presidente Rai Marcello Foa, sia l’Amministratore Delegato Fabrizio Salini, che sembra quasi vogliano prendere le distanze da alcune dinamiche del passato.
Come la Vice Capo Ufficio Stampa Rai Anna Fraschetti ha segnalato, presente in prima fila la consigliera di amministrazione, Beatrice Coletti (“in quota” Movimento 5 Stelle). Oltre al “clan” del cinema italiano: in primis, boss di Anica e Agis-Anec, da Francesco Rutelli a Carlo Fontana, e finanche di Apt, Giancarlo Leone.
Da notare la curiosa assenza del Mibac: non il titolare del dicastero, il Ministro (grillino) Alberto Bonisoli, non la Sottosegretaria (leghista) Lucia Borgonzoni. Strane assenze. Comprensibile, invece, la non presenza del neo Direttore Generale del Cinema, Mario Turetta, che assumerà l’incarico ad inizio marzo, subentrando a Nicola Borrelli (vedi “Articolo21” del 7 febbraio 2019, “Rai, Mibac e la grande confusione sul fronte del cinema ed audiovisivo”).
Ricordiamo che l’edizione dell’anno scorso, nonostante un risultato di audience discreto (oltre 3 milioni di telespettatori con uno share di poco superiore al 14 %), è stata oggetto di critiche su più fronti, soprattutto per la sua lunghezza (due ore e tre quarti inclusa la pubblicità) e per una qual certa sua noiosità (ed uno dei motivi per cui Sky ha non ha rinnovato il sostegno al David era proprio l’esigenza del broadcaster di ridurre la quantità di premi e la infinita sequenza di statuette). Scrivevamo in argomento, “il ritorno della premiazione dei David di Donatello è un’occasione mancata per la promozione del cinema italiano. Un dignitoso 14 % di share, ma un’impostazione arcaica, sganciata da logiche di marketing” (vedi “Key4biz” del 22 marzo 2018, “La premiazione dei ‘David di Donatello’ torna in Rai ma non convince”).
Il David di Donatello è kermesse sostenuta in modo generoso dalla mano pubblica, tra Ministero per i Beni e le Attività Culturali e Rai: ciononostante l’Accademia del Cinema Italiano (la fondazione che promuove e organizza il premio) non produce un “bilancio sociale” e sul sito web è disponibile soltanto un “bilancio abbreviato” (fino al marzo del 2018, nemmeno questo era online).
Il totale dei ricavi è stato di 910mila euro nel 2016, e di 843mila euro nel 2017. Il costo per il personale (pochi dipendenti e molti collaboratori) assorbe oltre il 10 per cento dei ricavi. Del “valore della produzione”, complessivamente 853mila euro nel 2017, ben 740.000 euro vengono dalla sovvenzione Mibac, 35.000 euro dalla “vendita statuette, 31.500 euro da sponsor… L’edizione 2018 dovrebbe aver beneficiato di un budget complessivo di circa 1,2 milioni di euro.
Quanti danari passano da… “mano pubblica” (Mibac) a… “mano pubblica” (Rai), rispetto alla gran kermesse?! Non è dato sapere.
Nel 2016, erano stati nell’ordine di 400.000 euro. Si ricordi che nel febbraio 2016, il senatore grillino Alberto Airola aveva presentato una “interrogazione a risposta orale” (n. 3-02624), che poneva quesiti sul budget del David, in occasione dell’edizione 2017 su Sky Italia… L’interrogazione si chiudeva con: “si chiede di sapere se il Ministro in indirizzo (…) non intenda, per quanto di sua competenza, adottare ogni iniziativa necessaria, affinché l’evento David di Donatello continui a essere trasmesso sulle reti Rai, anche al fine di garantire e salvaguardare la massima fruizione pubblica dell’evento”. Agli atti della Camera, risulterebbe che la risposta non è mai pervenuta, ma comunque nel 2018 la kermesse è rientrata a Viale Mazzini.
Nessuno sembra voler chiedere (rendi)conto dell’iniziativa, a livello quali-quantitativo.
Si tratta di un evento che (soprav)vive per inerzia ed autoreferenzialità: nessuna valutazione di impatto, nessuna misurazione dei benefici che (si presuppone) provoca nel tessuto del sistema cinematografico nazionale (e le ricadute a livello internazionale?!).
Il problema, delicato e grave, riguarda anche altre iniziative, che – almeno sulla carta – sono finalizzate alla “promozione” del sistema cinematografico ed audiovisivo italiano: basti ricordare il recente Mia – Mercato Internazionale dell’Audiovisivo (sostenuto soprattutto dal Ministero dello Sviluppo Economico – Mise) per non ricordare la Festa del Cinema di Roma (ne abbiamo scritto più volte su queste colonne, e presto torneremo sulla questione: vedi “Key4biz” del 12 ottobre 2016, “Il Mia è funzionale a promuovere l’audiovisivo ‘made in Italy’?”).
Milioni di danaro pubblico, un giro di affidamenti ed appalti che coinvolge centinaia di “operatori del settore” (spesso una sorta di “compagnia di giro”), senza che nessuno si prenda la briga di rispondere alla domanda (in perfetto stile… “ilprincipenudo”, per citare il nome di questa rubrichetta): a cosa servono realmente queste iniziative? contribuiscono realmente alla promozione del cinema e dell’audiovisivo? perché nessuno sembra porsi il problema di una valutazione quali-quantitativa dell’intervento della mano pubblica nell’ambito culturale?!
Per quanto riguarda il David di Donatello, si pongono – al di là delle esigenze di trasparenza – anche questioni di natura metodologica, oltre che ideologica: con quale criterio cooptativo viene formata la giuria, costituita da ben… 1.600 persone?!”?! che senso ha finanziare in modo così consistente un premio che sembra essere “sganciato” dalle dinamiche di mercato?!
Anche questa mattina, venendo a conoscenza delle “cinquine” delle opere candidate, è emersa l’impressione di uno scostamento tra “il cinema dei giurati” (una “eletta” schiera) ed il “cinema degli spettatori” (così intendendo la massa prevalente dei fruitori di cinema in sala): parte significativa dei film “prescelti” ha avuto un modesto esito nel “box office” in sala (cinematografica) e verosimilmente non ha guadagnato né guadagnerà share significativi nella messa in onda televisiva (se ci sarà).
Altra questione: i premi assegnati dal David, al di là dell’orgoglio degli autori, attori, produttori, finanche tecnici, hanno determinato un “valore aggiunto” per le opere vincitrici?! Hanno incrementato la fruizione in sala?! Hanno stimolato un’estensione della domanda di cinema?!
Gran parte dei 3 milioni di telespettatori dell’edizione 2018 del David (di loro, quanti spettatori cinematografici – in sala – nell’ultimo anno?!) probabilmente non hanno nemmeno avuto notizia di molti dei titoli che sono stati premiati, film sconosciuti ai più, se non alla ristretta cerchia dei cinefili appassionati.
Si tratta peraltro di un premio “retrospettivo”: vengono infatti premiati film che sono già usciti, e non i film che hanno una première in occasione di un festival. In questo caso, la funzione della kermesse potrebbe essere propulsiva, anche se va ricordato che spesso film vincitori al Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia non riescono nemmeno ad uscire in sala cinematografica, ed anche su questo si dovrebbe riflettere.
Ed i titoli che hanno determinato parte significativa degli incassi del cinema italiano sono quasi sempre ignorati (disprezzati?!) dalla “elitaria” giuria… Si contesterà: ma il David proprio a questo serve… a promuovere titoli “minori”, opere di ricerca e di sperimentazione! D’accordo, ma la manifestazione che effetto reale determina sul fronte della domanda?! Se il suo effetto promozionale è nullo, o insignificante, nella sua prevalente autoreferenzialità “estetocratica”, ci si domanda perché una simile kermesse deve essere così sovvenzionata, e se abbia senso – in termini di politica culturale – enfatizzarne l’importanza “istituzionale”.
Si ricordi che nel marzo dell’anno scorso, anche il settimanale “l’Espresso” ha acceso i propri riflettori critici sul David, dedicando all’evento una inchiesta ben polemica, curata dalla collega Francesca Sironi, intitolata “Cinema, perché il David è da ripensare”. Emblematico il sottotitolo: “Tra critiche ai meccanismi di voto e dubbi sulla composizione della giuria, il premio ha bisogno di rafforzare la sua credibilità”. La Giuria è formata dai candidati e vincitori del premio, nella sua storia, ma anche dai non meglio definiti “componenti di Cultura e Società”. L’articolo 3 del “Regolamento” recita: “da rappresentanti di una specifica lista denominata “Cultura e Società”, ovvero esponenti di chiara fama o di riconosciuta competenza della cultura, del cinema e dell’audiovisivo in tutti i suoi ambiti, dell’organizzazione culturale, dell’arte e del giornalismo e da personalità di rilievo della società italiana, proposti dalla Presidenza dei David e dal Consiglio Direttivo”.
Attualmente, il Consiglio Direttivo del David è così formato: Presidente, Piera Detassis; Carlo Fontana (Agis), Mario Lorini (Anec-Agis), Domenico Dinoia (Fice-Anec-Agis), Francesco Rutelli (Anica), Francesca Cima (Anica), Luigi Lonigro (Anica), Edoardo De Angelis (è il regista vincitore di 6 premi David nel 2017, con il film “Indivisibili”), Francesco Ranieri Martinotti (Anac), Nicola Borrelli (Mibac), Giancarlo Leone (Apt). Direttivo oggettivamente piuttosto squilibrato a favore dell’anima “economica” del cinema italiano, a svantaggio dell’anima autoriale-artistico-professionale. E molte soggettività del cinema italiano non sono proprio rappresentate dal “club esclusivo” del Direttivo del David: perché?!
Sia ben chiaro: iniziative come il David male non fanno, ma la questione è di natura più generale e politica: di politica culturale e di strategia settoriale. E di risorse pubbliche, anche.
Queste risorse pubbliche non sarebbero meglio allocate, se finalmente l’Italia si dotasse di una “Agenzia per la promozione delle industrie culturali”, che mettesse insieme Mibac e Mise e Rai, e – attraverso una struttura stabile, altamente professionalizzata, ben organizzata – stimolasse la promozione della fruizione di cultura (di tutte le industrie culturali e creative) a livello nazionale ed internazionale?!
Ricordiamo che l’Italia è uno dei Paesi in Europa che non ha una agenzia internazionale per la promozione del “made in Italy” immateriale (e non ci riferiamo al cinema soltanto). Ed i risultati si vedono (cioè… non si vedono), data la modestissima capacità di export delle nostre industrie dell’immaginario. Tante volte, su queste colonne, abbiamo rimarcato come non possa essere un “Il Commissario Montalbano” a trainare l’esportazione dei nostri prodotti audiovisivi…
Per la cronaca (che in verità qui poco ci interessa), in testa in questa 64ª edizione dei David di Donatello, il film “Dogman” di Matteo Garrone, che ha ottenuto il numero più alto di candidature, ben 15, e “Capri Revolution” di Mario Martone, che si attesta a 13. A pari merito, al terzo posto, con 12 candidature, si collocano “Chiamami col tuo nome” di Luca Guadagnino e “Loro” di Paolo Sorrentino. A seguire ancora a pari merito, con 9 candidature, “Lazzaro Felice” di Alice Rohrwacher e “Sulla mia pelle” di Alessio Cremonini (che – si ricordi – è anche primo film prodotto da Netflix in Italia). L’anno scorso il film più premiato ai David è stato “Ammore e malavita” dei Mainetti Bros (Antonio e Marco).
Ha commentato la Presidente della Fondazione David di Donatello, Piera Detassis, discretamente autocompiaciuta: nelle cinquine di candidatura, “ci sono i nomi più interessanti del nostro panorama, conosciuti in Italia e all’estero, e che hanno un respiro moderno e innovatore anche nel linguaggio cinematografico”. Nessun dubbio, ma il David a cosa serve… forse a “certificare” ex-post una qual certa qualità da cinefili doc?!
La Presidente Piera Detassis definisce l’edizione 2019 “del cambiamento” (inevitabile pensare ad un ammiccamento alla retorica del “Governo del Cambiamento” grillino-leghista): è stata segnalata “una nuova giuria” (ma non è stato spiegato come è stata “cooptata”), un nuovo “meccanismo di voto” (ogni giurato può esprimere 3 voti per ogni categoria, invece che 1 soltanto come avveniva finora), nuove “regole di ammissione” dei film che intendono concorrere all’assegnazione dei premi (la cosiddetta “tenitura” minima: debbono essere usciti in sala per almeno una settimana in almeno 5 città cosiddette “capo-zona” del mercato cinematografico italiano). Il “nuovo” (?!) David sta cercando di adeguarsi – nelle intenzioni dei promotori – ai modelli proposti dai grandi riconoscimenti internazionali.
Nel dicembre scorso, la stessa Detassis (ancora oggi Direttrice del mensile “Ciak”) aveva annunciato la sua “rivoluzione”, ma anche analisti attenti del settore avevano manifestato più di una perplessità (da segnalare che, rispetto al David, le voci critiche si contano sulle dita di una mano… quasi a non voler disturbare la “cupola” ovvero il “gotha” del cinema italiano): segnaliamo il commento, nell’occasione, dell’acuto collega Michele Anselmi (una delle sempre più rare penne eterodosse della critica cinematografica italiana) sul sito web dell’Università di Roma Sapienza “Cinemonitor – Osservatorio Cinema” (diretto da Roberto Faenza e coordinato da Mihaela Gavrila), proposto nel dettagliato articolo intitolato “Nuovi David. Le due giurie rivotano su tutte le categorie. Ma Detassis prende tempo sui nomi dei giurati (privacy?)”, e nel più recente “Ci hanno messo un mese: finalmente tutti i giurati del David. Restano Palombelli e Malagò, entra chi prima ironizzava”.
A latere della presentazione in Rai, è stato anche lanciato un primo comunicato stampa relativo ai “CinemaDays 2019” organizzati da Anec (l’associazione degli esercenti), Anem (multiplex) e Anica (produttori e distributori), con il sostegno del Mibac, che si svolgeranno da lunedì 1° a giovedì 4 aprile, con il prezzo del biglietto a 3 euro in tutti i cinema aderenti. L’iniziativa dovrebbe fare da “apripista” alla “Grande Estate di Cinema” che si attende per il 2019. Su questa tematica controversa di “politica di prezzo” verso il basso per stimolare la fruizione in sala – ovvero del complessivo deficit della politica promozionale del cinema italiano – torneremo presto.
* Presidente Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult