FIRENZE | Odeon CineHall (v.o.) – A volte è divertente essere la Regina, dice a un certo punto Queen Anna, salita sul trono d’Inghilterra nel 1702 senza la preparazione e il carattere che sarebbero stati necessari per prendere autonomamente decisioni politiche delicate nel bel mezzo di una guerra con la Francia dei cui sviluppi lamenta di non essere tenuta al corrente. Immaginiamo di sì, divertente, a volte, per esempio quando dà libero sfogo ai capricci da bambina tiranna. Bizzarrie e ingordigia (di cibi, di brandy, di corpi femminili) che concedono un temporaneo sollievo a questa donna malata, sfatta, con una gamba piagata e necrotizzata dalla gotta, torturata da dolori insopportabili, costretta a muoversi con le stampelle o sulla sedia a rotelle. Olivia Colman rende palese la sua larvale coscienza che il tempo migliore della vita è ormai alle spalle, facendone in parte una struggente, grottesca antesignana di Krapp. Oppure non c’è mai stato veramente un ‘tempo migliore’, ma soltanto il desiderio di esso, quando sembrava fiorire la possibilità di qualcos’altro dentro la confidenza giovanile con l’amica di sempre Sarah Churchill. Il presente, i giorni, lo scorrere sinistro del tempo, accompagnato da compassate percussioni che mettono a disagio lo spettatore e sembrano chiamare il dio pagano della carneficina (quello che conduce a morte Sebastian nella cittadina galiziana di Cabeza de Lobo, in Suddenly, Last Summer di Tennessee Williams), rigurgitano sofferenza, privazione, solitudine, derelizione, coagulati in un sentimento che potremmo definire ‘nostalgia del possibile’ e che Lanthimos rappresenta attraverso i conigli di cui la sovrana si circorda, uno per ogni figlio perso prematuramente, alcuni abortiti, altri morti poco dopo la nascita.
Non c’è più traccia di tenerezza nella relazione con Lady Sarah, duchessa di Marlborough. Sarah, diventata la Favorita della regina, amministra l’Inghilterra con decisione, idee chiare e spesso crudeli (spinge Anna a raddoppiare le tasse per finanziare la guerra e parla con disprezzo del popolo, destinato solo a obbedire), favorendo il partito Whig. Cerca di contenere umori e malumori di Anna con un atteggiamento severo e brusco, dispensandole nel segreto delle camere il suo charme da bel cavaliere risoluto. Gli abiti maschili che indossa ne accrescono il fascino androgino e spingono Mrs. Morley (nome spiritoso che viene usato dalle due donne nelle conversazioni private, quello di Sarah è Mrs. Freeman) a chiederle con un certa veemenza e senza perifrasi di essere scopata.
La dimora in stile giacobiano utilizzata da Lanthimos è Hatfield House, costruita nel 1611 da Robert Cecil, primo Conte di Salisbury, e i suoi interni (che invece appartengono al palazzo reale di Hampton Court), corridoi salotti camere biblioteche sale da pranzo, pullulano di cortigiani-fuchi inetti, affettati, fatui, inguaribilmente narcisi, sormontati da piumose parrucche e truccati come etère, che, fra una corsa di anatre e l’altra, aspirano a manipolare politicamente Queen Anna, ma per ottenere colloqui e ascolto sono costretti, non sempre con successo, ad aggirare la sorveglianza della duchessa di Marlborough. Su questo microcosmo fuori dalla realtà, eppure in grado di incidere pesantemente sul corso della Storia, infuria lo sguardo di Lanthimos, deformando prospettive, volti e ambienti con l’uso pressoché ininterrotto del fish-eye.
Il Perturbatore, figura ricorrente ed essenziale nel cinema del giovane maestro greco, che arriva a scompaginare le carte è in questo caso Lady Abigail Hill, cugina di Sarah, caduta in disgrazia dopo essere stata persa al gioco dal padre. La ragazza viene scaraventata fuori dalla carrozza sgangherata sulla quale stava viaggiando (non esattamente in compagnia di persone distinte) finendo in una pozza di fango e sterco, proprio davanti al palazzo di Anna. Accompagnata dal lezzo che la fa deridere dai cortigiani e da un piccolo sciame di moschine eccitate, chiede a Sarah un lavoro da cui poter ripartire per tornare la dama di un tempo, dopo umiliazioni, stupri e miseria. Per nulla impietosita, la duchessa relega Abigail nella cucina grigia e vasta, di epoca Tudor, dove cuoche e cameriere malevole le riservano i lavori più umili, arrivando a farle ustionare una mano con la soda caustica. Così, per passare il tempo, per ridere. Gli umani possono essere creature particolarmente abiette. Aristocratici o servi, Lanthimos non salva nessuno.
Abigail viene direttamente dall’inferno e non si lascia scoraggiare. Incarna lo stato di natura, quindi è mossa dall’istinto di sopravvivenza degli animali. E’ determinata, intelligente, intuitiva e osserva molto. Vede le orme, fiuta l’aria, lega gli indizi, sa tessere e all’occorrenza cambiare le sue lente e complesse strategie. Emma Stone è assolutamente straordinaria nel leggere in filigrana il lavorìo mentale instancabile, tenacissimo, di questa ragazza, e fra le tre protagoniste si rivela la migliore.
Lady Abigail riesce a far migliorare la gotta di Anna applicandole sulla gamba una pasta d’erbe raccolte nel bosco. Si guadagna la riconoscenza e l’attenzione della regina e qualche sarcastica lezione di tiro al piccione da parte della cugina. All’inizio è intimorita e goffa, ma ben presto nell’azzurro dell’iride che sta puntando il volatile si accende una luce cattiva. Farò di te un’assassina, sorride Sarah, senza sapere quanto l’auspicio le sarà infausto.
La nuova arrivata è abile nel blandire la regina, nell’intrattenerla con spirito e dolcezza mentre spinge la sedia a rotelle lungo gli interminabili corridoi finestrati, curvati dal grandangolo. La convince a ballare, lusingandola con frasi che riaccendono in Anna l’illusione di poter essere amata (siete bellissima, se fossi un uomo abuserei di voi), e infine conduce al piacere la povera carne martoriata di Mrs. Morley. Avviene nell’istante in cui Sarah sta per entrare in camera, arrivando dal corridoio di comunicazione segreto fra il suo appartamento e quello della regina. Indietreggia in silenzio, rientrando nella tenebra che la avvolge. La candela illumina il pallore del viso, la duchessa vacilla dentro e questa vertigine, questo spaventoso franare di un mondo pazientemente costruito, e la percezione di un sentimento autentico che le sta scivolando via dalle mani, sono visibili negli occhi di Rachel Weisz e rappresentano una delle anse più dolorose di The Favourite. Il buio è denso, pesante, perché nel film viene utilizzata solo la luce naturale, e chiude il cuore di Sarah in un sudario di velluto. Luce e assenza di luce diventano personaggi, si caricano di senso, parlano, agiscono, perdono sangue e altri fluidi, e questo pone The Favourite qualche passo avanti rispetto all’estetismo di Barry Lyndon.
Da questo momento inizia una guerra mortale fra le due favorite, con tentativi di avvelenamento, rovinose cadute da cavallo, partenze per le terme, complotti politici, alterne fortune, danni provocati dall’eccesso d’orgoglio, ricatti, ripensamenti, lettere d’amore bruciate, fino all’affermazione di Abigail, abile anche nello sfruttare il malcontento del partito Tory guidato dal Conte (e latifondista) Robert Harley. La caparbietà di Lady Hill (io sono dalla mia parte, sempre) otterrà persino l’esilio dell’avversaria.
Il movimento della parte finale, giocato su toni sempre più foschi e carnevaleschi, su un degrado generale senza freni, a tratti ripugnante, che può far venire in mente The cook, the thief, his wife and her lover di Peter Greeneway, ci porta a scivolare su un piano inclinato di partecipe assenza di speranza. Qui Lanthimos non è più il filosofo, il biblista, l’entomologo distaccato, sceglie anzi la prossimità, ossia di immergersi nello stesso lago di melma infernale che ingoia i suoi personaggi. Entra nella drammatica prigionia di ruolo in cui si rinchiudono le due donne, Anna ed Abigail, dipendenti l’una dall’altra (aspramente dipendenti, e piene di risentimento) e dalla finzione che inscenano all’infinito, l’una per e contro l’altra, e che nel perpetuarsi della ritualità quotidiana le divora.
Ringraziamo Odeon CineHall per la preziosa collaborazione