BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

I militari protagonisti della crisi venezuelana

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Fino all’imbrunire, sulle frontiere ci sono stati morti e incidenti gravi. E’ stata evitata la temuta battaglia campale. La prova di forza è però tutt’altro che conclusa, anzi per i prossimi giorni si presenta più pericolosa che mai. Con il rischio di episodi da guerra civile. Dall’altra parte della frontiera sono stati accumulati aiuti di cui i venezuelani hanno urgente bisogno, difficile credere che l’enorme maggioranza di essi non desideri poterne disporre. Sono dati di realtà incancellabili. Eppure, oltre la drammaticità della cronaca, continua l’afasia che ha colpito la politica a Caracas: molti proclami, nessun programma che dica con chiarezza cosa vuol fare e come ciascuna delle parti.

Consultazioni ce ne sono, ma nell’ombra.
Nell’inusitata sfida dell’opposizione che vuole distribuire tonnellate di alimenti e farmaci inviati dagli Stati Uniti e il governo di Maduro deciso a impedirlo, entrambe le parti avevano con reciproca sorpresa scelto di combattersi a colpi di musica pop. Un concerto moltitudinario sul versante colombiano della frontiera, con il presidente dell’Assemblea parlamentare, Guaidó, che ha raggiunto clandestinamente i capi di stato colombiano, cileno e del Paraguay accorsi a sostenerlo. Un altro concerto eguale e contrario dalla parte venezuelana, ma incomparabilmente meno affollato di cantanti e di pubblico.
Un riflesso, c’è da credere, dell’attuale forza di convocazione delle due parti e -di fatto- anche del rispettivo grado di determinazione a non recedere dalle proprie posizioni, evitando tuttavia di spingerle fino alle estreme conseguenze. Quest’ultimo un residuo segnale di ragionevolezza tanto apprezzabile quanto insufficiente. Fino al punto da far ritenere sia tra alcuni oppositori (al momento riuniti, ma distinti in almeno 7 diversi raggruppamenti politici) sia tra i sostenitori del governo, che gli alti comandi militari non siano più semplicemente i difensori dello statu quo su cui galleggia Maduro. Bensì i protagonisti in prima persona di una trattativa intesa a consentire l’avvio di una transizione concordata.
Se vi riuscissero, le Forze Armate potrebbero vantare il merito di aver salvato il paese, decidere esse stesse il proprio futuro e garantire le condizioni per le dimissioni di Maduro e del governo. Evitando inoltre l’umiliazione e di fatto il ridimensionamento conseguenti al secco aut-aut del presidente degli Stati Uniti: abbandonare Maduro o condividerne la sconfitta. Ne trarrebbe vantaggio anche l’opposizione, liberata da una tutela della Casa Bianca divenuta imbarazzante per molte delle sue componenti. Più d’una ritiene che la nomina come inviato speciale a Caracas di Elliott Abrams, uscito reo confesso dallo scandalo Iran-contras, ha reso manifesto l’uso strumentale che Trump starebbe facendo della complessa e delicata crisi venezuelana.

Premere in ogni modo per radicalizzarla in funzione della sua battaglia politica interna, per estremizzare i termini di confronto con i democratici. Il Venezuela presenta certamente l’opportunità di uno straordinario affare per i petrolieri americani. Ma il Presidente è ancor più interessato a farne l’occasione per mobilitare dietro di sé tutta l’estrema destra repubblicana, stravolgere l’esperienza chavista fino a indicarla come un esempio di quanto potrebbero fare i democratici se vincessero le prossime elezioni.


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