In una democrazia, la restrizione della libertà personale è un atto enorme. Nella nostra Costituzione, al tema è dedicato l’intero articolo 13, perché molti dei costituenti erano stati arrestati arbitrariamente dai fascisti. Questo per dire che l’imputazione per il “sequestro Diciotti” ad opera di Salvini non è un dispetto giudiziario, ma una violazione di tenore costituzionale. Che può essere giustificata per un ministro, solo se nell’esercizio della sua funzione sia mosso dalla difesa di un altro interesse costituzionale di pari o maggiore intensità. E’ questo il punto su cui dovrà decidere la Giunta del Senato per le autorizzazioni a procedere.
Salvini, dopo aver sbeffeggiato la Costituzione (“portatemi le arance…”) si è svegliato dall’incantesimo d’onnipotenza e ha capito che rischia grosso. Tanto da affrettarsi ad arrangiare una difesa di principio. C’è solo un problema: la sua giustificazione non regge. Salvini infatti si appella impropriamente all’art. 52 della Carta, che chiama al sacro dovere di difesa della Patria. Ma nel caso Diciotti non siamo in presenza dell’invasione da parte di un esercito straniero, ma in quello – di tutt’altro tenore – di profughi inermi ed esausti sequestrati per giorni. Quindi, inagibile la via giuridica, rimane solo l’ostruzionismo partitico. Cioè, il solito richiamo trasversale della casta: tra noi, non ci si morde. Ovvero: tutti ben chiusi e guai a chi apre la scatoletta di tonno.
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