Capita che nello stesso giorno due notizie di giudiziaria costringano a guardare in faccia qual è la vera condizione dei giornalisti in Italia, al di là e al di fuori di ogni classifica internazionale. Guardiamoci allo specchio e guardiamoci tutti negli occhi: i giornalisti in questo Paese sono odiati e sono dei perseguitati, con atti che violano la legge ma anche (forse soprattutto) con azioni legittimate dal nostro ordinamento. Le storie di Concita De Gregorio e di Davide Falcioni sono figlie di sentenze legittime, che si rifanno ad una legge vecchia di 70 anni ma in vigore e “indisturbata”, nel senso che una sua modifica è di là da venire. Nonostante tutti riconoscano che è necessario modificare le norme sulle responsabilità penali e civili attribuibili ai giornalisti nel caso in cui con i loro articoli ledano i diritti e/o la dignità di persone fisiche o giuridiche. Il principio generale è sempre valido, ma la sua applicazione distorta, unita alla lentezza della giustizia italiana e ad una certa opposizione dell’avvocatura, ha prodotto un sistema malato: oltre il 90% delle azioni legali contro i giornalisti finisce con assoluzioni, archiviazioni, rigetto delle domande in sede civile. Sono dati del Ministero della Giustizia noti a tutti ed essi provano che la quasi totalità di quelle azioni non tendono a tutelare alcuna lesione bensì a intimidire i giornalisti e a bloccare il loro lavoro. Concita De Gregorio, che ha appena raccontato la sua storia a Il Post, sintetizza benissimo il concetto: “E’ una guerra politica, non vogliono che tu scriva e quindi ti fanno causa”. Nello specifico lei sta rispondendo con il proprio reddito per articoli che si riferiscono alla sua direzione dell’Unità, ormai molto datata, poiché l’editore è fallito e la legge vigente consente di rifarsi sul direttore della testata. Gli autori delle querele di cui si tratta sono politici, per lo più. Questo elemento non va sottovalutato: i giornalisti aspettano da almeno venti anni la riforma della legge sulla diffamazione a mezzo stampa che deve essere approvata in Parlamento, il luogo politico per eccellenza. Ebbene, gli autori delle azioni legali temerarie appartengono a tre macro categorie. Queste: politici, membri della criminalità organizzata, grandi aziende. Si può sperare in una modifica seria in queste condizioni? E’ difficile. La fragilità dei giornalisti italiani è legata ad una precisa disposizione legislativa che, ad oggi, non si vuole cambiare. E c’è anche dell’altro che afferisce la figura e il ruolo dei cronisti italiani: essi sono visti come un “disturbo”, un elemento fuori posto, un fastidio. Quasi nessuno parla mai del giornalista come di un lavoratore, anche nelle moltissime sentenze di assoluzione si riconosce che sono stati rispettati i canoni indispensabili di continenza, veridicità e interesse pubblico ma manca il riferimento al lavoro. Ed è un’anomalia evidente nella storia di Davide Falcioni, il quale è stato condannato in Appello a quattro mesi di reclusione (pena sospesa) per concorso in violazione di domicilio (più o meno ciò che si contesta ai vicini di casa litigiosi! E qualche volta ai ladri!), reato che sarebbe stato commesso in quanto si è introdotto nella sede torinese della Geovalsusa, società nel consorzio dei costruttori della tratta ferroviaria Torino-Lione, documentando per AgoraVox l’azione dimostrativa e pubblicando un reportage e un articolo. Dunque Falcioni ha prodotto egli stesso le prove a suo carico, il suo servizio è stato valutato ai fini della contestazione del reato, anzi Davide viene indagato dopo che va in aula a testimoniare su cosa era accaduto nei giorni della protesta. E lui stava solo lavorando, ma questo elemento non si evince da nessuna parte. Anche Concita De Gregorio stava lavorando quando raccontava degli scandali italiani degli anni in cui è stata direttore. Il suo lavoro, quello di Davide e di decine di altri giornalisti in Italia è quello di vedere, scrivere, raccontare, documentare e questo non può essere considerato un reato né una violazione di legge che produce il blocco delle fonti di reddito. Nessuna altra categoria professionale paga perché fa bene il proprio lavoro.
Il fatto che l’assurdo sequestro dei conti riguardi una professionista stimata e rigorosa come la De Gregorio è, in qualche modo, un bene, perché la sua vicenda ha un’eco che può cambiare le cose e può farlo per l’interessata e per i moltissimi cronisti e piccole testate sconosciute che subiscono il medesimo trattamento ma non hanno la possibilità di avere la stessa attenzione mediatica e politica, come, invece, si spera accada adesso. Ovviamente non hanno nessun senso le manifestazioni di solidarietà di parti politiche che disprezzano la professione giornalistica e che stanno portando avanti una sistematica azione per cancellare il pluralismo. Leggere quel tipo di solidarietà in queste ore è surreale e grottesco. Fino ad oggi gli unici che hanno tentato di fare qualcosa contro la valanga di azioni temerarie sono stati gli organismi di categoria e in specie Fnsi e associazioni regionali, che concretamente erogano contributi per aiutare i colleghi a pagarsi le spese legali per difendersi contro le azioni temerarie. E’ giusto che si sappia che alcuni cronisti querelati non hanno nemmeno 500 euro da anticipare all’avvocato che li dovrà assistere contro infondate richieste milionarie di questo politico o di quel boss. L’articolo di un collaboratore esterno sulle infiltrazioni della camorra o sulla corruzione giudiziaria viene pagato, se va bene, 60 euro. Se il clan o i corrotti querelano, la sola attività difensiva che va dalla identificazione all’udienza davanti al gup costa, minimo, duemila euro. Non esiste alcuna assicurazione, alcun fondo e solo le grandi testate garantiscono assistenza legale, il resto è affidato al contributo della Fnsi, ossia alla mutua assistenza della categoria. Le azioni temerarie contro i giornalisti italiani muovono un business da 54 milioni di euro (circa) l’anno secondo i dati raccolti da Ossigeno presso il Ministero della Giustizia. Numeri che dicono tutto. Denunciare un giornalista non costa nulla, ci si può guadagnare e comunque si ottiene di bloccare o ridurre il suo lavoro.
E viviamo tutti felici e contenti.