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Draghi soccorre il governo populista

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In politica, come nella vita, un po’ di fortuna aiuta. Mario Draghi ha lasciato fermi a zero i tassi d’interesse, non li ha alzati come ha fatto nei mesi scorsi la Fed, la banca centrale degli Stati Uniti. Così l’Italia, e il governo populista grillo-leghista, non dovrà sobbarcarsi maggiori costi per vendere sui mercati internazionali Btp e Bot, i titoli del debito pubblico. È un prezioso soccorso per l’esecutivo Conte-Di Maio-Salvini.

Il presidente della Bce (Banca centrale europea) il 24 gennaio ha spiegato la decisione con la necessità di aiutare la ripresa economica.  Ha indicato tre insidie da schivare: 1) il rallentamento della crescita economica in Europa causato dall’accordo da rivedere con il Regno Unito sulla Brexit, 2) il protezionismo internazionale innescato dall’America di Donald Trump, 3) la bassa inflazione sotto il 2%. Draghi ritiene «ancora necessario un ampio grado di accomodamento monetario» per sostenere l’economia e l’occupazione ma non ha fatto alcun riferimento ad una nuova fase di “quantitative easing”, il piano d’acquisto di titoli del debito pubblico dei vari paesi di Eurolandia finito lo scorso dicembre dopo diversi anni.

I tassi d’interesse fermi sono una manna per l’Italia. Draghi, però, non ha anticipato nessuna misura per contrastare i pericoli di stagnazione e di recessione economica emersi soprattutto per i paesi più deboli come il nostro. Comunque ha mandato un messaggio interventista: «La Bce non ha esaurito tutte le munizioni e la sua cassetta degli attrezzi è sempre lì». Gli analisti finanziari pensano al lancio di nuove aste in primavera di crediti a tassi iperagevolati alle banche per finanziare le imprese e le famiglie (Tltro, è l’impronunciabile nome in sigla del provvedimento). Sarebbe una bella boccata d’ossigeno per l’Italia caduta in una brutta “recessione tecnica” dalla quale Conte pensa di riscattarsi solo nel secondo semestre del 2019.

Le mosse di Draghi sono molto positive per il “governo del cambiamento”. Il presidente della Bce di fatto, ancora una volta, ha aiutato l’Italia con i tassi d’interesse zero. La mano tesa c’è stata anche nei mesi scorsi, ma non è stata capita. Anzi, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, nel passato favorevoli ad uscire dall’euro e addirittura dalla Ue, hanno picchiato duro contro il salvatore della moneta unica europea. Ai primi di settembre, a tre mesi dalla nascita dell’esecutivo M5S-Lega, Matteo Salvini sollecitò Draghi ad «aiutare e consigliare l’Italia» anziché criticarla. A fine ottobre Lugi Di Maio lo accusò di «avvelenare il clima ulteriormente».

Il presidente della Bce aveva semplicemente invitato a ridurre l’alto spread tra i titoli decennali del debito pubblico italiano e gli analoghi tedeschi salito pericolosamente fino a quasi 340 punti e aveva auspicato un accordo (poi arrivato) con la commissione europea che aveva bocciato l’impostazione della legge di Bilancio italiana 2019 perché zavorrata da un deficit alto previsto al 2,4% (poi è stato ridotto al 2,04%). La situazione era divenuta così difficile che circolava persino l’ipotesi di un’imposta patrimoniale.

Successivamente i due vice presidenti del Consiglio, colonne del governo giallo-verde, avevano attenuato i toni e smussato le critiche feroci dietro la spinta del presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Così la Borsa di Milano cominciò a recuperare i crolli e lo spread a risalire la china. Adesso Di Maio e Salvini sono in silenzio. Non hanno più fatto partire bellicosi attacchi. A pensare che il presidente della Bce, considerato l’uomo delle élite europee, è stato messo sotto accusa da gran parte della stampa e della politica tedesca perché imputato, da “italiano”,  di aver favorito l’Italia e le sue “mollezze finanziarie”, tramite il “quantitative easing” e con i tassi a zero interessi.

C’è stato un bel dietrofront. Forse il capo politico dei cinquestelle e il segretario leghista hanno guardato i dati positivi con i quali ha chiuso il 24 gennaio la Borsa di Milano. Nel giorno dell’intervento di Draghi Piazza Affari ha guadagnato lo 0,8% e lo spread è sceso a 247 punti. Poi, però, è giunta la doccia gelata della “recessione tecnica”, così lo spread è risalito. Il ritorno della recessione è una conseguenza delle incertezze internazionali ma anche dei dubbi dei mercati sulla manovra economica del governo grillo-leghista per il 2019. Il messaggio è per Salvini e Di Maio.


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