Il numero dei blogger e degli attivisti digitali in carcere è in continua crescita: un trend che è indice di quanto sia minacciato il diritto alla libertà di espressione per milioni di persone in molti paesi del mondo.
Il numero di persone incarcerate per aver esercitato la propria libertà di espressione in rete è in aumento in tutto il mondo. Nel 2017, il Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj) ha rilevato che oltre il 70% dei reporter incarcerati sono stati arrestati per attività svolte su internet. In un rapporto del 2018, Reporters senza frontiere (Rsr) ha registrato centoquarantuno casi tra giornalisti e blogger imprigionati, e nove giornalisti uccisi.
Mentre oggi gli individui possono esprimersi liberamente senza la necessità di istituzioni o secondini dell’informazione, alcuni Stati scelgono il modo più diretto per negare questa libertà: l’incarcerazione e il confino offline, fuori dalla rete.
Non sono soltanto quelli che “fanno rumore” ad essere rinchiusi in prigione. Sempre più spesso, programmatori, designer e hacker vengono minacciati dalle autorità per il loro lavoro a protezione o miglioramento della libertà di espressione e privacy. Scrittori, filosofi e giornalisti sono stati a lungo considerati da chi detiene il potere come elementi pericolosi; recentemente, anche l’apposizione “tecnologo” è entrata nella lista nera delle occupazioni temute da politici corrotti e dittatori.
I principi della libera espressione, di cui all’articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, possono e devono estendersi anche online. Il diritto «a cercare, ricevere e divulgare informazioni» include il diritto di ideare e condividere strumenti che abilitino e proteggano tali abilità. Ci sono alcuni casi pilota che non ricevono ampia copertura mediatica, ma che è cruciale conoscere per stabilire ed individuare le libertà fondamentali online.
Eman Al-Nafjan, blogger dell’Arabia Saudita e attivista per i diritti delle donne che da tempo critica le violazioni dei diritti umani del governo saudita. A maggio 2018, Al-Nafjan e altre attiviste sono state arrestate durante alcune riprese video di una donna alla guida di un’auto, solo un mese prima che il divieto di guida per le donne fosse ufficialmente revocato. Un rapporto di Human rights watch ha rilevato che molte delle donne arrestate ha subito torture e molestie sessuali in carcere. Il principe ereditario Mohammad Al Salman è stato spesso dipinto come un riformista dai media occidentali, almeno fino alla notizia della tortura e dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi.
In Egitto, la repressione dei diritti civili è stata la norma per decenni, ma dopo il colpo di stato militare del 2013, giornalisti e difensori dei diritti umani sono più a rischio che mai. Il 2018 ha visto dozzine di arresti, tra cui quello dell’attivista Amal Fathy e del giornalista Wael Abbas. Anche se è stata finalmente fissata una data per il processo d’appello di Fathy e ad Abbas è stata concessa la libertà condizionale, entrambi sono stati detenuti in custodia cautelare per mesi e devono ancora affrontare una lungo processo verso la libertà. L’attivista Alaa Abd El-Fattah è stato condannato nel 2014 a quindici anni di carcere, pena poi ridotta a cinque anni dopo un nuovo processo. Nel marzo di quest’anno, Alaa finalmente tornerà a casa dalla sua famiglia durante i permessi diurni, siccome le condizioni della sua libertà vigilata gli impongono di dormire nella stazione di polizia locale per i prossimi cinque anni. In Iran, il designer e programmatore Saeed Malekpour è rinchiuso nella prigione di Evin, vicino Teheran. Saeed ha passato gli ultimi dieci anni della sua vita dietro le sbarre. In ottobre, ha avuto un infarto ed è stato ricoverato in ospedale, dove è stato ammanettato al letto per quattro giorni prima di tornare in prigione.
Quasi un anno fa, il giornalista etiope Eskinder Nega è stato scarcerato dopo aver scontato sei anni di carcere. Poco dopo il suo rilascio, è stato fermato per altri dodici giorni insieme ad altri scrittori e giornalisti. La poetessa, fotografa e attivista palestinese Dareen Tatour ha scontato tre anni di arresti domiciliari e altri quarantadue giorni di prigione. Dopo la sua liberazione, Dareen ha allestito una propria mostra fotografica; il governo israeliano ha cercato di toglierle i fondi e di bloccare un’opera basata sulla sua esperienza. Per finire, c’è il siriano Bassel (Safadi) Khartabil. Un instancabile sostenitore dei diritti digitali, giustiziato nel 2015: solo l’anno scorso ne è stata data la notizia.
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