La corsa ad ostacoli alle urne è lunghissima nel 2019. Sardegna, Basilicata, Piemonte, Emilia Romagna e Calabria. Centri importanti come Bari, Firenze, Perugia, Campobasso e Potenza. Una ventina di città capoluogo di provincia, una valanga di comuni minori. E soprattutto le elezioni europee di maggio.
Matteo Salvini punta a rinnovare il trionfo riscosso nelle elezioni regionali abruzzesi. Domenica 10 febbraio ha battuto tutti i primati. Ha stravinto, ha moltiplicato addirittura per oltre cento volte i voti leghisti: dagli appena 1.407 del 2014 ai 165.008 incassati domenica 10 febbraio.
Un trend impressionante. Il Carroccio è diventato il primo partito dell’Abruzzo con il 27,53% dei voti portando al successo il centro-destra e soffiando il primato al M5S. Salvini, rispetto alle elezioni politiche di un anno fa, ha raddoppiato i consensi mentre il cinquestelle Di Maio li ha dimezzati, scendendo dal 39,6% al 19,73%. A Forza Italia non è andata molto meglio: è sprofondata al 9,04%. Un ribaltamento di posizioni incredibile.
Il “Capitano”, come è chiamato Salvini dai leghisti, è riuscito nella improba impresa di sottrarre consensi sia a Luigi Di Maio, suo compagno nel governo nazionale, sia a Silvio Berlusconi, suo alleato nelle regionali in Abruzzo (la stessa operazione gli era riuscita in precedenza in Trentino Alto Adige e in Friuli Venezia Giulia). Il risultato in Abruzzo conferma la forza della sua “ruspa”. I sondaggi elettorali degli ultimi mesi danno per le europee circa il 34% dei voti a Salvini, il 25% a Di Maio, l’8% a Berlusconi.
Di Maio per ora tace, ma i cinquestelle sono piombati nella tempesta: nemmeno l’intervento del movimentista Di Battista nella campagna elettorale abruzzese ha evitato il disastro delle urne. Beppe Grillo è sconfortato. Il comico genovese, recitando al Teatro delle Celebrazioni di Bologna, l’ha buttata sull’ironia: «Sto usando il Maalox con la vaselina per la questione dell’Abruzzo». Nessuna analisi sui motivi del crollo nelle urne, sulle tante contraddizioni, ma qualche sottile critica è stata lanciata a Di Maio e Salvini perché «sono ragazzi».
All’interno dei cinquestelle ribolle la rivolta. Roberta Lombardi ha fatto emergere in una intervista a Repubblica il forte scontento verso di Maio: non può «tenere insieme» l’incarico di capo del M5S, di vicepremier, di ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico. La capogruppo cinquestelle alla regione Lazio ha usato toni abrasivi: Di Maio «non è Mandrake».
Berlusconi non sa darsi pace per lo sfaldamento di Forza Italia. A Canale5, una delle reti televisive di sua proprietà, ha sprizzato amarezza mista a sarcasmo parlando con Barbara D’Urso: «Solo 5-6 italiani su 100 votano per me, una cosa fuori del mondo. Gli italiani sono quasi tutti fuori di testa». Il presidente di Forza Italia e proprietario di Mediaset ha puntato il dito perfino contro le sue televisioni: «Non mi invitate mai nelle vostre tv, mentre ho visto Di Battista, ma scusi Di Battista che cosa è?».
Né Di Maio né Berlusconi ragionano e scavano sui rispettivi errori, sulle cause delle rispettive sconfitte elettorali dell’ultimo anno. Il capo politico del M5S non ha esaminato e posto un rimedio soprattutto a due problemi:1) la leadership imposta dalla Lega di Salvini sul “governo del cambiamento”, 2) le mancate o parziali risposte di governo alle miracolose e costose promesse elettorali (in testa il reddito di cittadinanza di 780 euro al mese a cinque milioni di poveri e il drastico taglio delle tasse).
Anche Berlusconi per vent’anni ha promesso di tutto, cominciando con il netto taglio delle tasse ai lavoratori, ai pensionali e alle imprese per far ripartire l’economia e l’occupazione. In particolare si era impegnato per ridurre le aliquote Irpef da cinque a tre e poi per potare le imposte con la Flat tax. Ma l’ex presidente del Consiglio, a lungo al governo nella Seconda Repubblica con la Lega di Bossi, ha promesso tanto e mantenuto poco. Così il ceto medio impoverito dalla Grande crisi gli ha voltato le spalle (come ha fatto con il Pd di Renzi), le urne hanno premiato i populisti un po’ come sta avvenendo in tutta Europa. Adesso la protesta sociale sembra confluire sotto le bandiere della Lega italiana, non più del Nord, sovranista e nazionalista.