Duro colpo al decreto Salvini nella parte che riguarda la valutazione delle richieste di permesso umanitario, più duro della scure con cui lo stesso provvedimento voleva limitare al minimo la permanenza dei migranti in Italia. La Corte di Cassazione, con una sentenza pubblicata il 19 febbraio, ha, infatti, stabilito che tutte le domande presentate alle commissioni territoriali del Ministero dell’Interno andranno valutate in base alle norme vigenti fino a quel momento, anche se tuttora non smaltite. E si tratta di circa 250mila istanze in tutta Italia.
In estrema sintesi: il decreto non può essere retroattivo. La sentenza, relatore il consigliere Maria Acierno, ha infatti stabilito che le domande già presentate dovranno essere valutate con la vecchia normativa sui permessi umanitari e se sussistono i presupposti si apporrà ai permessi la dicitura “casi speciali” con la durata di due anni, scaduti i quali verranno visti in base alle norme entrate in vigore col nuovo decreto. Dunque il decreto sicurezza, nei fatti, non vale per i migranti che hanno presentato le domande prima del 5 ottobre 2018. Come si sa, l’applicazione delle vecchie norme prevede di valutare le condizioni di “rischio individuale” che il migrante può correre tornando nel suo Paese. Scrive infatti il giudice relatore che “trattandosi di situazioni giuridiche soggettive… non possono essere scrutinate alla luce di un fatto generatore mutato rispetto al momento in cui è stato chiesto l’accertamento del diritto”.
La Corte di Cassazione in questo caso ha esaminato la posizione di un cittadino della Guinea che aveva presentato la domanda di protezione umanitaria, poi respinta dal Tribunale di Napoli e ha confermato quel verdetto, stabilendo però un principio generale per le altre domande. Il principio adottato è quello di non creare disparità di trattamento fra tutti i casi esistenti prima del decreto Salvini che avrebbe potuto discriminare le domande tra quelle già decise e quelle ancora in corso.
Secondo la Corte il permesso di soggiorno per motivi umanitari è un diritto previsto dalla Costituzione e dai patti internazionali cui l’Italia aderisce e questo diritto sorge quando si verifichino le condizioni di vulnerabilità per le quali il migrante, appunto, chiede la protezione, ossia quando ha presentato la domanda e non quando questa viene esaminata.
Cade in questo modo anche un altro dei proclami impossibili e palesemente iniqui del decreto sicurezza.