Le querele e le azioni legali contro i giornalisti pesano come una spada di Damocle che limita la libertà e l’autonomia di chi, di professione, racconta i fatti. Il caso di Concita de Gregorio, che si è ritrovata da sola a fronteggiare le azioni legali dopo il dissolvimento del suo editore, è solo l’ultimo episodio di una realtà di cui si percepisce solo la punta dell’iceberg. Per fronteggiarla vanno tenuti presenti due aspetti: l’urgenza di una revisione della normativa, cosa che fu tentata nella scorsa legislatura ma con un nulla di fatto; il potenziamento degli strumenti di difesa per i giornalisti, a partire da un’azione unitaria degli enti di categoria.
I numeri sono impressionanti, secondo l’unico studio disponibile effettuato sui dati del Ministero della Giustizia, quello realizzato dall’Osservatorio Ossigeno nel 2016 col dossier “Taci o ti querelo”, ogni anno ci sono oltre 6800 processi contro i cronisti, con 155 condanne e 100 anni di carcere comminati. L’ 87% dei procedimenti si risolve con proscioglimento, assoluzione o formule analoghe. C’è poi la massa, abnorme, di richieste di risarcimenti in sede civile. Sempre Ossigeno parla di un volume di 45milioni l’anno, a cui vanno aggiunti una media di 54 milioni di spese legali a fronte di una media di sei anni per le sole sentenze di primo grado.
Una situazione che mette in seria discussione la libertà di stampa anche perché ci troviamo in una fase in cui i giornalisti sono sempre più “flessibili”, cioè senza un editore alle spalle o, come nel caso della De Gregorio, con editori che evaporano. Nella maggior parte dei casi, inoltre, parliamo di piccole realtà editoriali che non sono in grado di reggere il peso di una vertenza.
Sul piano legislativo sono state depositate alcune proposte di legge per riformare la diffamazione a mezzo stampa. Occorrerà seguirne con attenzione l’iter in Parlamento per evitare che dalle buone intenzioni non si passi ad un peggioramento delle norme, come accaduto in passato. Servono meccanismi di dissuasione per i querelanti, l’abolizione del carcere, valutazioni sul ruolo e sulla posizione dell’editore.
C’è un altro punto che diventa importante. Allo stato attuale i giornalisti hanno a disposizione, come strumenti di difesa collettivi, il Fondo antiquerele della Fnsi a cui si aggiungono diverse iniziative per l’assistenza legale ai giornalisti da parte di Onlus o alcuni enti ed associazioni sindacali territoriali. Iniziative meritorie e preziose che, purtroppo, non riescono a coprire la vastità e l’ampiezza del fenomeno. Sarebbe quindi prezioso uno sforzo comune di tutti gli enti della categoria – Ordine, Sindacato, Inpgi e Casagit – per un’azione unitaria finalizzata a mettere in campo strumenti di difesa e supporto per i colleghi che si trovano a dover fronteggiare procedimenti giudiziari spesso pretestuosi e intimidatori. La forma tecnica andrà valutata, vista la diversa natura degli enti, ma se si afferma la volontà comune di voler intervenire, allora i giornalisti, in attesa di una riforma utile della legge, potrebbero contare su un sostegno ancora più solido per continuare a svolgere liberamente il loro mestiere.