Ahmad Tayyeb, imam dell’Università islamica di al-Azhar, non è un uomo dai trascorsi semplici, soffici, suadenti. Con la comunità ebraica mondiale è stata burrasca in tempi non proprio lontani, con il Vaticano pure. Era già lui, ai tempi dell’attentato di Alessandria, quando si fece strage di cristiani copti nella notte di Natale, a congelare il dialogo con la Santa Sede per via della richiesta di Benedetto XVI di protezione dei cristiani dal terrorismo. Poi si appurò che i mandanti di quella strage stavano nei palazzoni del potere cairota. Cosa è successo? Cosa ha potuto far sì che oggi lo stesso Tayyeb abbia parlato della guerra del’67 senza dire una parola su Israele? Ha registrato il dolore, le sofferenze che patì nella sua Luxor prima e dopo. E cosa lo avrà spinto a definire “mio fratello” il vescovo di Roma, quello con cui non voleva più dialogare? Non basta. Da quando le relazioni con la Santa Sede sono riprese, il Grande Imam ha sempre sottolineato il valore del dialogo tra le religioni, vedendo in ciò che fuori da quei mondi un problema, una macchina intrisa di individualismo. Cosa lo avrà indotto a firmare una dichiarazione congiunta nella quale si afferma che il dialogo e la reciproca stima non deve riguardare solo i credenti, ma anche i credenti e i non credenti. E’ un fatto enorme, che apre le porte a scenari impensabili per la laicità dello stato, per lo stesso diritto alla conversione, e per l’idea che lo stato deve essere retto da una legge positiva, umana, capace di unire tutti gli appartenenti alla comunità nazionale. Cosa può averlo indotto ad arrivare lì dove sembrava per lui difficile arrivare?
L’accettazione delle altre religioni, a legger bene, e nel Corano, nella sua natura di libro che fonda la “religione che crede in tutte le religioni”, come alcuni definiscono l’Islam. Ma questa apertura al non credente e a ciò che segue? Tutto queste domande hanno una sola risposta: Ahmad Tayyeb si è sentito capito, accettato. Non si è sentito guardato con quella superiorità che gli occidentali sovente dimostrano nei confronti del vicino arabo, ridotto così male e avvolto in una crisi culturale che non accettano, assorbiti come sono dalla grandezza del loro passato. No, Ahmad Tayyeb si è sentito capito, accettato, riconosciuto. Riconosciuto per quel che il suo mondo di appartenenza è stato e per le difficoltà che attraversa. Poteva essere altri che Jorge Mario Bergoglio l’uomo che è riuscito in questo? Poteva essere altri che un uomo, un vescovo, un papa, del sud del mondo? E’ questo l’evento straordinario che si è svolto sotto i nostri occhi ad Abu Dhabi. Un raffinato intellettuale musulmano, avvolto nei saperi millenari e nei complessi sempre più profondi di un mondo che per uscire da una crisi devastante ha bisogno di un medico che curi il suo complesso di superiorità (parente prossimo del complesso di inferiorità), ha trovato in un argentino il dottore di cui aveva bisogno. E lo ha detto! “Questa nostra dichiarazione congiunta è nata su un tavolo a Casa Santa Marta.” Proviamo a immaginare quel tavolo: nella stanzetta di Jorge Mario Bergoglio? In quel monolocale dove lui ha scelto di vivere invece che nei palazzi apostolici i due si sono seduti l’uno davanti all’altro? Non c’è lo sfarzo dei palazzi apostolici a Casa Santa Marta, c’è un uomo che vive e lavora in una cinquantina di metri quadrati, bagno incluso. La storia è cambiata… L’uomo che sentiva sulle spalle il peso di un disastro di cui il suo islam non ha tutta la colpa, quell’islam che ha fatto grandi Damasco, Baghdad, Il Cairo, che ha creato immortale spiritualità, si è sentito accettato da un fine psicologo che lo accoglieva in ambienti semplici, con la statua di San Giuseppe addormentato sul mobile d’ingresso. Intanto accanto a lui i giovani egiziani seguitavano a soffrire più di prima, più che ai tempi di Mubarak. Quei figli del suo Egitto sofferenti devono avergli riportato le sue giovanili sofferenze, ai tempi di guerra, ma minori delle loro. Evirati in carcere, spariti nel deserto bianco, condannati ai lavori forzati, devastati. Come non riconoscerli in tantissimi altri giovani musulmani in fuga disperata dalla Siria, dall’Iraq, dall’Afghanistan, dalla Libia. Quei giovani inquietano tutto l’Occidente, incapace di riconoscere nei loro volti il volto di Cristo sofferente. Solo un uomo ha saputo farlo, contro tutto e contro tutti, anche al rischio dell’impopolarità tra i suoi: quell’uomo che lo accoglieva da tempo in una stanzetta a Casa Santa Marta. E’ così, a mio avviso, che Ahmad Tayyeb è arrivato a sentirsi accolto, riconosciuto. E ha riconosciuto in Jorge Mario Bergoglio suo fratello. E allora? Allora è riuscito non solo ad accettare l’idea di cittadinanza per tutti gli abitanti dei paesi arabi, ma a invocare i cristiani: “smettetela di sentirvi minoranze, voi siete nostri concittadini!” Qualcosa di epocale può accadere così, perché chi sente accettato… può andare fino in fondo a se stesso, alla sua vera identità, senza più complessi.