Quattro buste contenenti cinque proiettili e indirizzate al prefetto Claudio Palomba, all’ex senatore del Partito democratico Stefano Esposito e alle agenzie di stampa Ansa e La Presse sono state intercettate l’altro ieri durante i controlli di sicurezza al centro di smistamento delle Poste di via Reiss Romoli a Torino. Quest’ultimo atto, con le minacce di morte inviate ieri al presidente di Articolo 21 Paolo Borrometi, rappresentano una recrudescenza di atteggiamenti intimidatori diretti a giornalisti, politici e intellettuali. Ne abbiamo parlato con Anna Rossomando, vice presidente del Senato della Repubblica.
Come rappresentante delle istituzioni e vice presidente del Senato, qual è il suo commento?
«Preoccupa l’intensificarsi di atti intimidatori indirizzati a figure diverse tra loro: istituzionali come il Prefetto di Torino; politiche come il collega Esposito, al quale ho fatto giungere immediatamente solidarietà e vicinanza; ed alle due agenzie di stampa La Presse e l’Ansa. Dunque, un attacco diretto alla libera informazione e alla sicurezza della nostra democrazia».
Intimidazioni in aumento, e in un periodo di cambiamenti nel nostro paese…
«L’Italia sta vivendo cambiamenti politici e sociali e tante difficoltà. La crisi economica, ad esempio. In un momento così delicato la democrazia non dovrebbe essere protetta perché sotto attacco, ma dovrebbe essere percepita come un baluardo rassicurante per affrontare problemi, controversie e conflitti sociali».
Atti di vandalismo e aggressioni in aumento che hanno preso di mira anche i simboli della Shoah, come le pietre d’inciampo divelte ignobilmente per le vie di Roma (e in altre città italiane); anche rom, sinti, minoranze religiose, linguistiche e culturali denunciano un crescente clima di odio, e siamo in vista delle celebrazioni per la Giornata della Memoria. Come si può reagire a questa impasse?
«Credo che i recenti atti intimidatori, e quelli che dileggiano la memoria, siano pericolosi, tanto più quando attuati a pochi giorni dalle celebrazioni del Giorno della memoria. L’elenco di comunità e minoranze vessate in questi ultimi tempi è in continuo aumento e va monitorato attentamente. Per contrastarlo adeguatamente è necessario formare e informare i giovani, scommettere e investire di più sulla scuola, l’Università; promuovere dichiarazioni pubbliche da parte delle istituzioni inequivocabili e non propagandistiche, intensificare le attività culturali. La storia insegna, tuttavia la memoria può essere offuscata dal tempo e consentire ai vecchi fantasmi del passato di riemergere. Non possiamo permetterlo. Nazionalismi, populismi, chiusure di frontiere, atteggiamenti xenofobi, non sono la soluzione oggi, come non lo furono in passato. Non possiamo abbassare la guardia, dobbiamo aumentare la nostra soglia di attenzione. Dobbiamo agire rifuggendo dalla retorica e rifiutare ogni tendenza a banalizzare gli atteggiamenti violenti, i commenti aggressivi; siamo chiamati a difendere i valori della nostra Costituzione, un capolavoro di programma democratico da continuare ad attuare. Mantenere viva una positiva prerogativa umana: quella di sapersi indignare di fronte alle sopraffazioni e alle ingiustizie».
L’indignazione è sufficiente?
«No, ma è già un piccolo passo in avanti. Oltre all’indignazione è necessario mettere in campo azioni positive, reali, concrete. Come avvenuto con le pietre d’inciampo sostituite dopo la loro profanazione con una cerimonia solenne. Siamo chiamati, e lo dico pensando alle celebrazioni del 27 gennaio, a tenere viva la memoria. Non possiamo permettere l’attacco ai ricordi, i revisionismi storici, legalizzare le nostalgie di tempi bui, che la nostra Costituzione ripudia e condanna. Non possiamo dimenticare che attraverso la Shoah si decise, scientemente, di annientare, mortificare, umiliare, assassinare sistematicamente milioni di persone: ebrei, e insieme a loro, rom, sinti, persone con disabilità, oppositori politici, omosessuali. Primo Levi con Se questo è un uomo ci ha consegnato un libro indimenticabile, un’eredità importante, un monito indelebile e che richiama alla responsabilità gli esseri umani, riferendosi al significato più profondo e quanto mai attuale dell’umanesimo».
Per caso, si riferisce anche al caso collega senatore che ha richiamato I protocolli dei Savi di Sion?
«Anche, ma questo è solo il caso più recente. L’episodio, molto grave, non è stato fatto con disattenzione e dunque non può essere derubricato. Malgrado il collega si sia giustamente scusato».
Una delegazione della Federazione nazionale della stampa italiana e di Articolo 21 incontrerà dopodomani alle 10 la Comunità ebraica di Roma portando con sé alcuni giornalisti minacciati per il loro impegno. Quanto è importante la libertà di stampa?
«È fondamentale, non a caso è tutelata dalla nostra Costituzione grazie all’Articolo 21. Ieri sono arrivate nuove minacce al giornalista Paolo Borrometi, il presidente dell’Associazione Articolo 21 insieme al quale presenteremo il libro “ Un morto ogni tanto” a Torino (città che già ospita due iniziative importanti nel mondo del giornalismo d’inchiesta come il “Premio Roberto Morrione” e quello dedicato a “Vera Schiavazzi”, ndr) il 9 febbraio alla libreria Binaria book di Libera. A Borrometi, ho inviato la mia vicinanza personale e ribadito l’impegno istituzionale, quello di non lasciarlo solo. Il giornalismo d’inchiesta è importante perché tutela la libertà della nostra società e garantisce a tutti noi un diritto fondamentale, quello di poter essere informati, illuminando soprattutto notizie e fatti talvolta oscurati e nascosti».
Ieri le comunità religiose cattoliche e protestanti hanno diramato un «manifesto» congiunto dal titolo «Restiamo umani» e lo hanno fatto in occasione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Un appello rivolto alla ragionevolezza, alla solidarietà, alla pacatezza nei toni e nelle discussioni, affinché, anche nello scontro politico, non si perda il senso del rispetto che si deve alle persone e alle loro storie di vita e di sofferenza. Cosa ne pensa?
«L’impegno delle chiese nello spazio pubblico è indispensabile. Con le loro azioni, anche concrete, aiutano a guardare al futuro. Quando i nostri figli ci chiederanno il conto per ciò che è stato fatto e non fatto, detto e non detto in materia di solidarietà, di accoglienza, di protezione umana e a difesa dei diritti umani, questi manifesti ecumenici e interreligiosi, insieme alle azioni intraprese da gran parte del mondo politico, associativo, non governativo, saranno specchi sui quali farà piacere guardarsi. “Restiamo umani” ci interroga, ci chiede di riflettere su ciò che oggi siamo e su ciò che stiamo facendo. Un appello ecumenico che ci chiede di essere migliori».