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Romania: un nuovo laboratorio per l’attacco allo stato di diritto?

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Da tempo si  moltiplicano i segnali di allarme da parte delle istituzioni europee  per lo stato di diritto e gli effetti delle riforme della giustizia e del sistema giudiziario in Romania e di pochi giorni fa sono le dichiarazioni di Junker che, in vista  dell’inizio del semestre guidato da Bucharest, ha manifestato preoccupazione e dubbi per le tensioni e le divisioni interne al paese.

A partire dal 2017 è stato avviato un processo di revisione delle tre  leggi del 2004 sull’ordinamento giudiziario (relative allo statuto dei giudici e dei pubblici ministeri, all’organizzazione dei Tribunali e delle Procure, e del Consiglio Superiore della Magistratura), caratterizzato anche dal ricorso a procedure d’urgenza. Come sottolineato da Frans Timmermans nel discorso pronunciato  il  3 ottobre nel corso del  dibattito del Parlamento Europeo  sullo stato di diritto in Romania,  gli effetti delle riforme dell’ordinamento giudiziario, entrate in vigore fra luglio e ottobre 2018 e delle proposte di modifica delle leggi penali e processuali, intervenute in un clima di forte tensione nel paese e di pressione per i magistrati che sono oggetto di continui attacchi sui  media, hanno determinato una situazione di serio rischio per l’indipendenza del sistema giudiziario e per la sua efficacia, soprattutto nell’azione di contrasto alla corruzione.

Nell’ultima relazione del 13  novembre 2018, adottata nel contesto del meccanismo di cooperazione e verifica ( MCV) istituito nel gennaio 2007 per valutare i progressi compiuti rispetto agli impegni assunti dalla Romania in materia di riforma della giustizia e di lotta contro la corruzione,  la Commissione Europea ha concluso che, in base ai recenti sviluppi della situazione nel paese, deve essere rimessa in discussione la valutazione positiva espressa nel gennaio 2017- in particolare per quanto riguarda l’indipendenza della magistratura, la riforma giudiziaria e la lotta contro la corruzione ad alto livello-, ha escluso le condizioni per chiudere l’MCV e ha formulato ulteriori raccomandazioni.

Un’analisi dettagliata dei profili di criticità delle riforme, richiamati dalla relazione MCV, si può leggere nei pareri della  Commissione di Venezia, pubblicati il 20 ottobre 2018 ( op. 924/2018 e op. 930/2018), e nel rapporto GRECO del marzo 2018.

-Rilievi specifici riguardano l’assetto della Procura. Le nuove procedure previste per la  nomina e la revoca dei magistrati  requirenti nelle posizioni di “vertice”, in particolare Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, Procuratore capo della DNA (direzione nazionale anticorruzione ), e Procuratore capo  della DICCOT (dipartimento per le indagini sul crimine organizzato e terrorismo) accrescono di fatto i poteri del Ministro della Giustizia, riducendo quelli del Presidente della Repubblica che continua a decidere su proposta del Ministro, dopo aver ricevuto il parere del Consiglio superiore della magistratura, ma può rifiutare solo una prima proposta di  nomina, e non quella successiva, anche in caso di parere negativo del CSM. La Commissione di Venezia ha evidenziato che il nuovo sistema  di nomina riduce l’indipendenza della magistratura requirente e tale circostanza è particolarmente preoccupante nel contesto attuale di tensione con la politica creato dall’azione di contrasto alla corruzione svolta dalla magistratura.

Rilievi critici sono stati formulati anche per la procedura di  rimozione dagli incarichi: secondo l’interpretazione avallata dalla Corte Costituzionale, al Presidente spetta solo la verifica  della correttezza formale della procedura di revoca, senza possibilità di sindacare  il merito della proposta di destituzione, e unicamente su questo parametro di legalità formale deve esprimersi il Consiglio superiore nel suo parere al Presidente.

Come osservato dalla Commissione Europea nel rapporto MCV, che formula sul punto una specifica raccomandazione perché siano sospese tutte le procedure di nomina e revoca in corso per i procuratori in posizione apicale, alcune decisioni hanno già messo in evidenza gli effetti della concentrazione di potere a favore del Ministro. E’ il caso della revoca del procuratore della DNA, proposta dal Ministro che, in un primo momento,  conformemente al parere reso dal CSM, il  Presidente della Repubblica non ha accettato. A seguito della decisione della Corte Costituzionale resa nel maggio 2018 ( fra l’altro non in linea con una precedente  decisione che aveva sottolineato il ruolo non formale del Presidente nella procedura di nomina dei procuratori), il Presidente è stato poi obbligato a firmare il decreto per dare esecuzione al provvedimento di destituzione.

Quanto agli aspetti di indipendenza interna, va  segnalata la norma che attribuisce al procuratore la possibilità di invalidare le determinazioni assunte da altri sostituti non solo per mancanza di base legale ma anche per infondatezza nel merito, e la costituzione di una sezione speciale dell’ufficio di Procura presso la Cassazione  competente a svolgere indagini su reati commessi da magistrati.

-La Commissione di Venezia ha evidenziato le criticità del nuovo regime di pensionamento anticipato ( la cui attuazione è stata poi con ordinanza d’urgenza soltanto rinviata) e della riforma che attribuisce al Ministro delle Finanze l’iniziativa di avviare obbligatoriamente l’azione di rivalsa verso i magistrati precisando che, senza norme di garanzia, anche questa nuova disciplina rischia di essere percepita come un ulteriore meccanismo di pressione sui magistrati. Rilievi specifici riguardano anche le norme che limitano la  libertà di espressione dei magistrati e stabiliscono il dovere di astenersi nell’esercizio delle funzioni da manifestazioni o espressioni in qualunque modo diffamatorie nei confronti “degli altri poteri dello stato, legislativo e esecutivo”: sono norme non necessarie, problematiche con riferimento all’art. 10 ECHR , e pericolose, scrive la Commissione di Venezia, perché introducono nozioni indeterminate di diffamazione e di potere ( persone fisiche,  istituzioni?) nonché elementi di incertezza rispetto alle funzioni del  CSM di intervenire  con dichiarazioni pubbliche “ a tutela” in caso di indebite pressioni sui magistrati da parte di altri soggetti pubblici.

-La riforma ( ulteriormente modificata con un’ordinanza d’urgenza) tocca significativamente anche il CSM introducendo, fra i casi di  revoca dei suoi membri eletti, l’approvazione di una mozione di sfiducia da parte di una assemblea generale  nei tribunali o nelle procure  o a seguito di petizione: un meccanismo non trasparente, ha sottolineato la Commissione di Venezia,  che mette a rischio l’indipendenza e l’imparzialità dei membri eletti nell’esercizio delle loro funzioni.

-Il parere della Commissione di Venezia affronta anche la vicenda, che ha suscitato grande allarme e preoccupazione fra i magistrati e nell’opinione pubblica, rappresentata dall’esistenza di protocolli siglati con il  servizio di intelligence ( SRI) dal CSM,  dalla Corte di Cassazione e dalla Procura Generale, nonché dalla DNA e dall’ispettorato e ha sollecitato una revisione approfondita delle norme giuridiche in materia di controllo sull’attività dei  servizi segreti.

Sul punto segnalo anche gli interventi di MEDEL e il recente documento che ha valutato criticamente il rapporto MCV del 13 novembre della Commissione Europea per la mancanza di un’ obiettiva analisi delle ricadute di questa  “cooperazione” sull’indipendenza del sistema giudiziario e sul diritto ad un giusto processo, e per l’assenza di specifiche raccomandazioni sul punto (https://www.medelnet.eu/index.php/news/europe/449-resolution-on-safeguarding-the-independence-of-the-romanian-judicial-system-from-secret-and-unlawful-interference-of-the-intelligence-agencies;

https://medelnet.eu/index.php/news/europe/483-medel-letter-to-the-president-of-the-eu-commission-and-to-the-eu-commissioner-of-justice-about-the-cvm-report-on-bulgaria-and-romania).

 

 

Come già accaduto  di recente per la Polonia, i primi risultati del dialogo aperto dalla Commissione europea non sono stati incoraggianti e le reazioni del governo rumeno rappresentano un déja vu: l’accusa di applicare doppi standard nella valutazione della attività dei singoli stati e l’affermazione  che si tratta di un attacco alla “nazione” e al “popolo” .

 

Nella risoluzione sullo stato di diritto in Romania, approvata il 13 novembre,  il Parlamento Europeo ha espresso profonda preoccupazione per tutto l’allarmante contesto nel quale si inseriscono le riforme che rischiano di compromettere in modo strutturale l’indipendenza del sistema giudiziario e la capacità di contrastare in modo efficace la corruzione, richiamando le restrizioni politiche alla libertà dei media e i tentativi di trasformare i mezzi di informazione in strumenti di propaganda politica,  la legislazione relativa all’organizzazione, al funzionamento  e  finanziamento delle ONG in ragione del “potenziale effetto intimidatorio sulla società civile” e della limitazione alla libertà di associazione, le iniziative gravemente regressive sul piano della tutela dei diritti umani. Fra queste si segnala la petizione promossa nel maggio 2016 per rivedere la costituzione rumena al fine di limitare la definizione di famiglia al matrimonio fra uomo e donna. La proposta è stata approvata dal parlamento con una maggioranza dei due terzi (e sottoposta ad un referendum che non ha però raggiunto il quorum richiesto).

 

Il quadro delle riforme adottate in Romania ha aperto dunque un nuovo fronte per la tutela dei valori e dei principi dello stato di diritto, posti a fondamento dell’Unione europea, e contribuisce ad aggravare il contagioso processo di regressione democratica in corso in Europa.

Come nel caso dell’Ungheria e della Polonia, l’evoluzione della situazione in Romania conferma che l’attacco al ruolo di garanzia della giurisdizione e all’indipendenza dei sistemi giudiziari  fa parte di tale processo insieme alla manipolazione delle  regole della democrazia finalizzata ad accrescere il potere dell’esecutivo senza ricorrere a frodi elettorali, e a tutti gli interventi che  limitano la libertà  e il pluralismo della stampa e che rimettono in discussione diritti e libertà fondamentali.

 

La democrazia – ha scritto Stefano Rodotà – ha sempre più bisogno per la sua stessa sopravvivenza dei diritti fondamentali ma questa dimensione “fondativa” ci appare fragilissima e perennemente insidiata da restaurazioni e repressioni.

Ovunque, nei nuovi laboratori per l’attacco allo stato di diritto, si può cogliere la trama che tiene insieme l’alterazione delle regole della democrazia, la regressione sul piano del riconoscimento e della tutela dei diritti fondamentali e il rifiuto dei  valori che sono a fondamento dell’Unione Europa. Il progresso della democrazia e dei diritti non è  irreversibile e le parole di Rodotà ci ricordano oggi che la difesa dei diritti e delle libertà non può concedersi pause né appagamenti né distrazioni.


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