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Rivolte in Sudan represse con la forza, almeno 40 morti. Anche un bambino di 11 anni

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Shuogi Alsadg Isahag aveva 11 anni. Da quando il caro vita in Sudan ha portato al di sotto del livello di povertà gran parte della popolazione, scatenando una rivolta con oltre 40 morti e centinaia di arresti, non andava più a scuola. Doveva lavorare per aiutare la famiglia a sopravvivere. Venerdì scorso, insieme a centinaia di persone stava partecipando a un corteo nel centro di Gedaref, Sudan orientale, per manifestare contro le politiche del governo e chiedere le dimissioni del presidente Omar Hassan al Bashir.
Un proiettile ha stroncato la sua esistenza facendo di lui il più giovane ‘martire’ della repressione violenta delle manifestazioni antigovernative.
Il Sudan è alle prese da anni con una forte crisi economica dovuta a un’inflazione record, alla carenza di valuta forte e ai bassi livelli di liquidità delle banche commerciali. Il governo ha per questo deciso di adottare misure di austerity.
“Nell’ultimo periodo in Sudan la vita è diventata sempre più difficile – racconta Adam Bosh Nur, portavoce della comunità dei sudanesi in Italia – scarseggiano i beni di prima necessità, i prezzi sono diventati impossibili, si formano lunghe file di cittadini per ottenere pane, carburante, gas o anche per i prelievi di contanti dagli sportelli automatici. In aggiunta a ciò, i servizi educativi e sanitari sono ormai di appannaggio dei soli ricchi”.
L’aggravarsi della situazione ha spinto esponenti dell’opposizione e attivisti ma anche migliaia di semplici cittadini a organizzare dimostrazioni pacifiche in molte città del Paese per esprimere il loro disagio verso un regime dittatoriale che porta avanti politiche repressive da oltre 30 anni.
“Vogliamo denunciare le ingiustizie, le guerre civili che hanno portato alla secessione del Sudan meridionale e il furto di denaro pubblico da parte dei membri del governo” continua Nur – La politica di Bashir ha fatto crollare la nostra economia. Ma tutto ciò non è stato sufficiente. Ora stanno reprimendo con inaudita violenza le manifestazioni di cittadini disarmati. Una ingiustificata repressione con l’uso di armi da fuoco, munizioni vere, bombe a B. gas, persino armi antiaeree causando la morte di decine e decine di persone tra cui almeno 15 tra studenti e bambini”.
Le autocita sudanesi hanno ammesso che nei disordini sono stati uccisi 19 manifestanti, ma per il principale leader dell’opposizione, Sadiq al-Mahdi, rientrato in questi giorni dall’esilio, il bilancio è molto più grave e il responsabile dello spargimento di sangue è il presidente Bashir.
Anche Amnesty International denuncia che a ordinare alle forze di sicurezza di fermare “a ogni costo” i dimostranti sia stato proprio lui, l’ex generale arrivato al potere con un golpe nel 1989 e accusato dalla Corte penale internazionale di crimini di guerra e contro l’umanità, oltre che di genocidio, per il conflitto in Darfur.
Sulla base di “rapporti credibili”, afferma l’organizzazione internazionale, almeno 37 manifestanti sono stati uccisi dalle forze di sicurezza negli ultimi cinque giorni.
Ma gli scontri, seppur sporadici, erano iniziati già da settimane e la polizia aveva già disperso con la forza vari presidi ferendo a morte una decina di giovani nei pressi dell’Università di Omdurman, città gemella della capitale Khartoum.
“Il fatto che stiano utilizzando armi letali in modo indiscriminato contro i manifestanti disarmati è estremamente preoccupante – ha affermato Sarah Jackson, direttore di Amnesty per l’Africa orientale, i Grandi Laghi e il Corno d’Africa – Il governo deve frenare questo uso mortale della forza e prevenire ulteriori vittime” il suo appello.
Richiesta che si è levata alta anche dai rappresentanti della diaspora che hanno promosso sit-in davanti alle ambasciate del Sudan, da Washington a Londra, da Parigi a Roma.
Nonostante la gravità di quanto stia avvenendo l’attenzione dei media, a causa della scarsità di notizie che fluiscono dal Paese dove gli organi di informazione sono nella quasi totalità filo governativi, è pressoché limitata ovunque.
“Il governo di Khartoum ha bloccato la comunicazione su Internet e i media nazionali censurano le notizie. Se non si rompe questo assordante silenzio e si continuano a tacere le manifestazioni, gli eccidi, le ingiustizie in Sudan, saremo tutti complici. Dateci voce” è l’appello di Adam Bosh Nur.


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