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Pippo Fava, un antieroe contro la mafia

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di Massimo Gamba

pippo fava

Sperling & Kupfer

L’ultimo dei nove giornalisti uccisi in Italia dalle mafie è Beppe Alfano, ammazzato a Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, l’8 gennaio 1993.
Sono passati 25 anni e da allora la mafia non uccide più cronisti, così come non fa più strage di politici, magistrati o poliziotti.
Ma questo non autorizza a pensare che la libertà di espressione sia al sicuro – così come non significa che il problema della mafia sia risolto – se è vero che dall’inizio del nuovo millennio i giornalisti minacciati o aggrediti nell’esercizio del loro lavoro sono stati migliaia.
Secondo i dati di Ossigeno per l’informazione – l’associazione nata nel 2008 proprio per monitorare e combattere questo fenomeno – dal 2006 al 2017 sono 3.508 i giornalisti che hanno subito attacchi diretti o intimidazioni. 40 nel 2006, 423 nel 2017, con una curva di crescita esponenziale che non accenna a fermarsi.
Giuseppe Fava, per tutti Pippo, viene ucciso a Catania il 5 gennaio 1984. Dieci anni di indagini, viziate da molti depistaggi, non producono risultati, se non il tentativo di delegittimare la figura della vittima. Fava era un “femminaro”, lo sanno tutti, e le ragioni del delitto vanno cercate lì, altro che mafia.
Solo nel 1994 le parole del pentito Maurizio Avola fanno luce su un delitto organizzato dal clan di Nitto Santapaola, che verrà poi condannato all’ergastolo come mandante. Ma la decisione di uccidere Fava è certamente maturata all’interno del blocco di potere politico-affaristico-criminale che in quegli anni tiene in pugno la città di Catania e di cui la mafia è solo una parte. Quel blocco di potere che Fava ha cercato di svelare e raccontare nei suoi articoli.
Il libro racconta gli ultimi quattro anni della sua vita, quelli che lo hanno condotto all’appuntamento con i killer. Fava era in primo luogo un giornalista, molto conosciuto nella sua città, ma anche un’intellettuale a tutto tondo. Scrittore, drammaturgo, sceneggiatore, perfino pittore.
L’eclettismo e la voglia di nuove esperienze lo avevano portato a Roma nell’ultimo scorcio degli anni Settanta. Qui aveva lavorato per la Rai come conduttore del popolare programma radiofonico Voi ed io e come autore di una serie di documentari sulla Sicilia.
Nel 1980 il richiamo della sua terra prende le forme di una proposta di lavoro. Un gruppo di piccoli imprenditori catanesi lo chiama a dirigere un nuovo quotidiano, Il Giornale del Sud. Fava accetta, torna nel capoluogo etneo e comincia a cercare giornalisti per la nuova impresa. Ma i suoi vecchi colleghi gli voltano le spalle, forse impensieriti dalla intraprendenza e dallo spirito libero del direttore, alcuni certamente preoccupati di conservare il loro posto nelle redazioni della sonnacchiosa e conformista informazione catanese.
Fava non si scoraggia, recluta un gruppo di ragazzi con aspirazioni di cronisti e con loro inizia a raccontare una città che lui stesso stenta a riconoscere. A Catania nessuno parla di mafia, ma ci sono cento omicidi all’anno. I “carusi” di Fava vanno in strada, raccolgono informazioni e fanno inchieste che raccontano di una criminalità mafiosa sempre più forte e spietata. Questo mentre il quotidiano storico della città – La Sicilia, del direttore-editore Mario Ciancio – si limita a parlare di delinquenza comune e generici regolamenti di conti.
Ma il giornale di Pippo Fava fa di più. Comincia a svelare i rapporti tra questa criminalità e il potere politico, istituzionale e affaristico della città. Sulle pagine del Giornale del Sud si cominciano a fare i nomi, come quello di Nitto Santapaola, il boss della cosca emergente, considerato fino a quel momento un rispettabile signore che ancora nel 1981 può inaugurare la sua concessionaria di auto alla presenza dell’arcivescovo, del prefetto e del questore di Catania.
E’ un vero e proprio sistema di potere fondato sul malaffare quello che governa la città e tutte le istituzioni fanno la loro parte per tenerlo in piedi. Gli articoli del Giornale del Sud compongono giorno dopo giorno un mosaico in cui questa realtà prende forma e acquista una fisionomia riconoscibile.
Ma il paradosso è che questo establishment è così pervasivo che ne fanno parte anche gli editori del quotidiano diretto da Fava. Così il suo attivismo comincia a diventare un problema. Prima qualche avvertimento generico, poi delle velate minacce, quindi azioni di censura vera e propria. Alla fine arriva il licenziamento.
Pippo Fava saluta i suoi lettori con un ultimo editoriale in cui spiega che idea ha del suo lavoro: “Io ho un concetto etico di giornalismo. Ritengo infatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza, la criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente all’erta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo”.
Fava capisce la lezione e si rende conto che solo con un giornale tutto suo potrà fare il giornalismo che piace a lui, potrà continuare a raccontare la sua Catania che si sta trasformando. E’ così che nel dicembre 1982 nasce il mensile I Siciliani. Fava porta con sé tutti i ragazzi del Giornale del Sud, che nel frattempo si sono fatti le ossa alla sua scuola, e dà vita a una rivista che diventa una delle più brillanti esperienze di giornalismo antimafia mai realizzate in Italia.
Nella copertina del primo numero campeggiano i quattro maggiori imprenditori catanesi, i “quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa”, come titola il lungo articolo in cui Fava descrive il sistema di potere che tiene come in una morsa la sua città. Molti sostengono che proprio con quell’articolo Fava abbia firmato la sua condanna a morte.
Ma Fava – che prima di essere un eroe antimafia è stato un paladino della libertà di espressione – ha lasciato la sua eredità. I carusi continuano a tenere in vita il giornale, che diventa ancora più “militante” nella sua battaglia di legalità. Le loro inchieste affiancano e a volte ispirano quelle di magistratura e forze dell’ordine.
Uno di loro, Riccardo Orioles, dedicherà la sua esistenza a questo impegno, quasi fosse una missione, formando decine di giovani giornalisti. Sono quelli che ancora oggi pubblicano il mensile I Siciliani giovani, che tiene in vita lo spirito di Pippo Fava e il suo concetto etico di giornalismo.

Da mafie


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