Ero direttore della TGR in quell’orribile gennaio 1994 quando la troupe composta da Marco Luchetta, Sasha Ota e Dario D’Angelo saltò in aria a Monstar durante un reportage sugli orfani della terribile guerra nella ex Jugoslavia. Uno di quei bambini si salvo perché l’attacco colpì davanti a lui i nostri tre colleghi. Indagine senza risultati, solo la tragedia che rimane per sempre. Non dimenticherò mai l’arrivo delle salme di notte, sotto la neve, all’aereoporto, la disperazione assoluta di Daniela e di tutti i parenti, l’impossibilità per il presidente della Rai Demattè, per il sindaco di Trieste Illy, che portavano le bare, di trovare una parola di conforto, l’incredulità negli occhi di tutti.
Ma non dimenticherò neppure la folla di triestini in fila intorno al palazzo della Rai, dalla mattina alla notte, silenziosa e dolente, che voleva rendere omaggio a questi figli della loro città che erano morti mentre cercavano di fare al meglio il loro lavoro. Una folla che rispettava il servizio pubblico e sentiva la sede locale della Rai un po’ come casa propria. Una città in lutto, che si riversò a san Giusto nel giorno del funerale.
I nostri tre colleghi erano espressione di quel giornalismo sul campo che è andato via via perdendosi, per loro era logico cercare gli aspetti non raccontati di quella guerra orrenda, le testimonianze non scontate, la gente che soffriva, quello che dovrebbe essere, ieri come oggi, lo spirito stesso del racconto giornalistico.
Dalla tragedia di Mostar è nata una bellissima iniziativa, la Fondazione che ogni anno premia autori di inchieste sulle sofferenze dei più piccoli nelle purtroppo sempre tante guerre nel mondo e che si occupa di questi orfani con atti concreti, case di accoglienza dove convivono giovani provenienti da paesi diversi – a volte in conflitto fra loro – in uno spirito di solidarietà e di speranza. In oltre venti anni di attività sono un migliaio i ragazzi ospitati e curati a Trieste, nel segno della pace e della convivenza fra diversi.
Articolo 21, e io personalmente, ci sentiamo davvero vicini alla Fondazione, alle famiglie Luchetta, Ota e D’Angelo, e faremo sempre la nostra parte per promuovere le loro iniziative di civiltà, di cultura della tolleranza, di diffusione dei principi di pace e convivenza fra i popoli, consapevoli che dalla guerra, dall’arroganza, dall’intolleranza nascono solo e sempre tragedie umane.