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L’arrampicatore e la burattinaia. ‘Vice – L’uomo nell’ombra’ di Adam McKay

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Adam McKay è ottimo sceneggiatore e regista – il suo precedente titolo La grande scommessa (The Big Short, 2015), vincitore di un Oscar per lo script, ne è la conferma – che aveva iniziato ad essere conosciuto quale regista… di servizio di Will Farrel – ricordiamo Anchorman – La leggenda di Ron Burgundy (Anchorman: The Legend of Ron Burgund, 2004), Ricky Bobby – La storia di un uomo che sapeva contare fino a uno (Talladega Nights: The Ballad of Ricky Bobby, 2006), Fratellastri a 40 anni (Step Brothers, 2008), I poliziotti di riserva (The Other Guys, 2010) e Anchorman 2 – Fotti la notizia (Anchorman 2: The Legend Continues, 2013) – per il quale aveva confezionato sempre prodotti più che decorosi, in un paio di casi interessanti.

L’incontro artistico con Christian Bale gli ha permesso di realizzare opere di ben altro spessore, andando ad esplorare con successo il mondo del biografico: nel 2015 la vicenda di 4 investigatori che prevedono la crisi mondiale dell’economia legata all’andamento dei mercati finanziari, ora un’attenta analisi della figura di Dick Cheney, Vicepresidente degli Stati Uniti durante l’amministrazione di George W. Bush – lo junior, considerato malleabile e nettamente inferiore al padre – è visto come uomo politico più votato ai suoi interessi che non a quelli degli amministrati, personaggio che alterna le sue performance tra Stato e attività manageriali in società che lo remunerano anche per i favori che riesce a fare ottenere agli azionisti con affari poco chiari. Il conflitto di interessi è la base di molte cose a cui dà vita, è il suo credo, è una regola accettata e quasi cercata che non gli viene contestata per il potere che ha ottenuto, per tutto il bene ed il male che è in grado di creare.

L’esperienza di McKay nell’ambito della commedia leggera gli permette di maneggiare con grande lievità temi di notevole spessore, raccontando delle malefatte dell’uomo e di chi gli ha permesso di farle: è un quadro di certo mondo della corruzione – ma anche della faciloneria di chi dovrebbe controllare – raccontato strappando qualche sorriso, ma immediatamente riportando la narrazione alla drammaticità dei fatti che hanno cambiato in maniera forse definitiva i panorami politici del mondo.

Solo per citare l’episodio più eclatante, basterà ricordare l’11 settembre 2001 e le Twin Towers. Cheney aveva fatto cambiare alcune regole nell’operatività del vice presidente e in questa maniera aveva ottenuto enorme potere. I primi due aerei avevano lacerato i grattacieli incendiandoli, il terzo era stato dirottato contro il Pentagono, il quarto, diretto contro il Campidoglio o la Casa Bianca a Washington e si schiantò dopo che sia i passeggeri che i membri dell’equipaggio tentarono, senza riuscirci, di riprendere il controllo del velivolo. Aveva preso il comando dopo che i voli American Airlines 11 e United Airlines 175 avevano colpito le Torri Nord e Sud del World Trade Center di New York, ordinando di abbattere qualsiasi cosa potesse essere considerata pericolosa per la sicurezza nazionale, anche se su un velivolo ci fossero civili. Suo il ‘consiglio’ al Presidente Bush di salire sul Air Force One, sua la regia del dopo attentato che lo fece divenire in quel momento con tutta la probabilità l’uomo più potente del mondo.

McKay ci racconta della sua incredibile escalation da quando negli anni Settanta lavorava a stendere reti elettriche e fini in prigione due volte per ubriachezza molesta e pericolosa. Pungolato, diremmo frustrato, dall’implacabile moglie Lynne Ann Vincent entrò in politica nelle file del partito repubblicano, scelto quasi per caso quando venne mandato a fare un tirocinio a Washington.

Nonostante le sue condizioni di salute a dir poco instabili e assolutamente non idonee per ricoprire le cariche di volta in volta ottenute – ha avuto almeno tre infarti e ha beneficiato di un trapianto del cuore – ebbe una carriera nell’ombra mirata a raggiungere la sala di comando che lo portò sino alla vicepresidenza durante l’amministrazione di Bush jr. Per accettare quello che fino ad allora era considerata una carica quasi onorifica, ottenne da un Presidente politicamente debole di trasformarla in un posto di potere: ovviamente, senza che Bush jr. lo capisse.

Oltre all’attentato alle Torri Gemelle, sfruttò anche la seconda guerra irachena per instaurate una politica fatta di uccisioni, torture, menzogne che diffondeva a piene mani, con affermazioni che poi non hanno trovato riscontro nella realtà. Fra queste ultime ricordiamo le armi di sterminio di massa che Ṣaddām Ḥusayn avrebbe detenuto e che, una volta completata l’occupazione dell’Iraq, nessuno trovò. Parimenti raccapriccianti i vademecum sulla tortura, definita in maniera meno dura ‘interrogatori stringenti’, e le reclusioni senza processi dei sospettati di terrorismo nella base di Guantanamo, un lembo di Stati Uniti lontano dalla giurisdizione del governo. E’ stato un politico intrigante, legato in maniera non certo corretta con l’industria petrolifera e pronto a qualsiasi acrobazia legale per giustificare il suo aumento di potere.

Il film è originale con caratteristiche da opera sperimentale, denso di ironia molto intelligente mescolata ad un senso di impotenza che coinvolge un po’ tutti i personaggi che hanno a che fare con lui e, per immedesimazione, anche il pubblico. C’è un narratore di cui vediamo il volto, ma anche la famiglia e la sua vita di tutti i giorni. Appare come un uomo comune, di cui non viene svelata l’identità o, meglio, la sua ragione di essere all’interno del film se non nelle ultime scene; anche questa è una trovata interessante che spiazza.

Dopo un’oretta dall’inizio, quando viene detto che la figlia minore è lesbica, il regista si diverte a creare un falso perfettamente credibile: la voce fuori campo dice che l’uomo politico, per stare vicino soprattutto alla ragazza, abbandona la carriera politica: partono i titoli di coda ma, subito dopo, si torna alla vita reale, a quello che aveva portato avanti soprattutto di negativo anche per gli Stati Uniti.

Potendo contare sulla grande bravura di Christian Bale, assolutamente irriconoscibile nell’aspetto fisico e capace di rendere in maniera perfetta la viscidità di questo uomo che rappresenta un Male accettato senza reagire da troppe persone, riesce a creare forti emozioni che la presenza della ‘moglie’ Amy Adams rendono ancora più disturbanti: a tratti, si ha l’impressione che lei, come burattinaia, lo abbia fatto muovere come voleva senza dargli la possibilità di decidere. Lo ricattava in nome della felicità delle due figlie ma, nello stesso tempo, lo supportava in ogni frangente della sua nuova stressante vita.

Steve Carell, qui alla terza collaborazione con il regista, interpreta Donald Rumsfeld, il primo uomo politico che gli insegnò trucchi più o meno leciti e che, dopo averlo creato, ne divenne suo sottoposto.

Il film è candidato a 6 Golden Globe.

 

Scheda film:

Titolo: Vice – L’Uomo nell’Ombra

Titolo originale: Vice

Genere: Drammatico, biografico

Regia: Adam McKay

Paese/Anno: USA, 2018

Sceneggiatura: Adam McKay

Fotografia: Greig Fraser

Montaggio: Hank Corwin

Scenografia: Patrice Vermette

Costumi: Susan Matheson

Colonna sonora: Nicholas Britell

Interpreti: Christian Bale, Amy Adams, Steve Carell, Sam Rockwell, Tyler Perry,

Alison Pill, Lily Rabe, Eddie Marsan, Justin Kirk, Bill Pullman, Jillian Armenante, Brandon Sklenar, Mark Bramhall, Brandon Firla, Shea Whigham

Produzione: Megan Ellison, Dede Gardner, Jeremy Kleiner, Adam Mckay, Kevin J. Messick, Brad Pitt per Annapurna Pictures, Gary Sanchez Productions

Distribuzione: Eagle Pictures

Durata: 132 minuti

Data uscita: 03/01/2019


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