Ottimi risultati in America, caduta delle vendite in Italia. Fca parla americano. Il gruppo di proprietà della famiglia Agnelli-Elkann nel 2018 ha aumentato le vendite del 9% negli Stati Uniti (2.235.204 auto) e ha visto un tonfo nel Belpaese di oltre il 10% (le immatricolazioni sono scese a 499.546 vetture dopo vari anni di boom). Sugli altri mercati mondiali c’è sempre una forte forbice: vanno bene le vendite in Sud America (più 14% in Brasile) e non brillano in Europa e in Cina.
Ancora una volta la gallina dalle uova d’oro di Fiat Chrysler Automobiles è stato il marchio Jeep: le vendite sono salite del 17% negli Usa e di oltre il 70% in Italia. Il marchio Fiat, invece, va a fondo, ma anche Maserati e Alfa Romeo arretrano (il Biscione, però, tira negli Stati Uniti).
Non è del tutto una novità, ma la perdita di quota delle auto e delle fabbriche italiane è una brutta sorpresa. Sergio Marchionne, scomparso tragicamente lo scorso 25 luglio, aveva deciso di ridimensionare i marchi di auto commerciali (Fiat e Chrysler) poco remunerativi e di puntare su quelli premium (Jeep, Ram, Alfa Romeo, Maserati e Ferrari) con maggiori margini di profitto. Il salvatore della Fiat e della Chrysler aveva annunciato lo scorso anno di scommettere per l’Italia sull’innovazione tecnologica, sui motori elettrici-ibridi e sui brand di alta qualità: «Se qualcuno fa la supercar elettrica, la fa la Ferrari. Saremo i primi e realizzarla». E precisava: «Dal 2020 in Italia il gruppo avrà solo produzioni premium, coi marchi Alfa Romeo e Maserati».
Ma negli ultimi sei mesi del 2018 mentre i due marchi di alta gamma statunitensi hanno fatto faville, i due italiani hanno deluso. Il ritardo nel lancio dei nuovi modelli programmati e gli errori nella commercializzazione hanno azzoppato le vendite dell’Alfa Romeo e della Maserati che, in precedenza, stavano andando bene. L’uscita di produzione di utilitarie Fiat di grande successo, come la Punto, ha messo poi il carico da 11 sulle disavventure delle auto italiane.
Il 2019 si annuncia un anno difficile per il ramo italiano di Fca. Mike Manley ha confermato gli impegni presi da Marchionne anche verso l’Italia, ma tra i problemi ha indicato l’errore di «quando abbiamo messo insieme Maserati e Alfa Romeo». Il nuovo amministratore delegato di Fiat Chrysler Automobiles, incontrando lo scorso novembre i sindacati a Torino, ha ribadito i piani per «la piena occupazione» nelle fabbriche italiane con l’arrivo di 13 nuovi modelli o il restyling degli attuali, investendo 5 miliardi di euro. Lui e Pietro Gorlier, il responsabile Fca per Europa-Medio Oriente-Africa, sono anche entrati nei particolari su alcune mosse: la 500 elettrica sarà prodotta a Mirafiori; la Jeep Compass a Melfi; un Suv medio ibrido Maserati a Cassino; un nuovo Suv compatto Alfa sarà costruito a Pomigliano D’Arco e, sempre l’impianto campano, fabbricherà la Fiat Panda ibrida.
Gli incentivi per le auto elettriche e l’ecotassa sulle vetture a benzina-gasolio annunciati dal governo M5S-Lega con la manovra economica 2019 avevano messo in discussione tutto. Gorlier, l’ultimo top manager torinese di Fca, aveva minacciato ai primi di dicembre: se resterà l’ecotassa «si renderà necessario un esame approfondito dell’impatto della manovra e il relativo aggiornamento del piano». L’esecutivo Conte-Di Maio-Salvini alla fine ha cancellato dalla legge di Bilancio 2019 l’ecotassa, ma ha lasciato i sussidi per l’acquisto di vetture con motori ecologici.
Dall’elenco riportato dai giornali, beneficeranno a man bassa degli incentivi pubblici le auto delle case tedesche, francesi, coreane e giapponesi. Per le fabbriche Fca italiane, impegnate nella delicata transizione verso i nuovi modelli elettrici e ibridi, il 2019 sarà impegnativo e complicato. Marchionne l’anno scorso aveva commentato soddisfatto il buon andamento del gruppo: «Ci siamo creati una realtà americana e una europea». Adesso Fca parla sempre più americano: ha un amministratore delegato inglese installato quasi in pianta stabile a Detroit; ha venduto la Magneti Marelli; negli Usa c’è la gran parte dell’occupazione, della produzione e delle vendite di auto (ben il 47% del totale realizzato sui mercati mondiali).
L’italiano sta diventando una lingua accessoria, il peso decisionale si sposta sempre di più dal Lingotto di Torino a Detroit. La realtà americana va a gonfie vele mentre arranca quella europea con impianti in Italia, Polonia, Serbia e Turchia, paese in gran parte asiatico. Marcia in salita la realtà italiana, la culla della Fiat, poi divenuta Fca con l’acquisto della Chrysler praticamente fallita.