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Giornalismo d’inchiesta in Bulgaria, la sfida è resistere

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Dal suo recente arresto nel corso di un’inchiesta su appalti e corruzione all’omicidio della conduttrice Viktoria Marinova, il giornalista investigativo Dimitar Stoyanov di “Bivol” fa una panoramica sui punti dolenti dell’informazione in Bulgaria.
Proproniamo un’intervista raccolta da Francesco Martino per Osservatorio Balcani Caucaso
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Si è appena conclusa a Trento la settimana di eventi “Trentino per i Diritti Umani ” volta alla conoscenza del lavoro delle difensore e dei difensori dei diritti umani nel mondo. Nel corso della settimana, istituzioni e organizzazioni della società civile hanno potuto confrontarsi con i rappresentanti di alcuni programmi di protezione temporanea già operativi in Europa e hanno ascoltato le testimonianze di Nohemi Pérez Borjas, difensora ambientale dell’Honduras, Arséne Lumpalì, avvocato della Repubblica Democratica del Congo e del giornalista bulgaro Dimitar Stoyanov, che abbiamo intervistato in merito alla situazione del giornalismo investigativo nel suo paese.

Lo scorso, settembre, durante un’inchiesta giornalistica su appalti pubblici e fondi europei, ribattezzata “Gpgate”, lei è stato fermato insieme al collega rumeno Attila Biro. Qual è stata la reazione della società bulgara al suo arresto?

Naturalmente è difficile dare una valutazione complessiva rispetto all’intera società bulgara. Rispetto allo stretto ambito professionale, purtroppo, molti media non hanno reagito in modo adeguato. C’è però da segnalare che la parte più consapevole della società, quella più sensibile ai temi che abbiamo sollevato con la nostra indagine, ha fatto sentire la propria voce, facendoci arrivare allo stesso tempo la propria solidarietà.

Da allora ci sono state delle azioni concrete della magistratura nei confronti delle possibili violazioni che Bivol ha portato alla luce?

Al momento sono stati congelati 14 milioni di euro in vari conti della compagnia “G.P. Group”, col sospetto che si tratti di denaro riciclato. Rispetto alle nostre indagini, che puntano il dito contro l’uso illecito di fondi europei da parte della stessa compagnia, invece, fino ad oggi la procura non ha preso nessuna iniziativa concreta. Quindi, paradossalmente, la magistratura indaga il possibile riciclaggio di denaro, senza però indugiare sui meccanismi attraverso cui tale denaro sia arrivato nelle casse dell’azienda. Al momento le indagini sul cosiddetto “GPgate”, continuano: sospetto però che le autorità giudiziarie non abbiano la volontà di investigare fino in fondo le informazioni rese pubbliche da “Bivol”.

Ad ottobre la Bulgaria è stata al centro dell’attenzione internazionale dopo il brutale omicidio di Viktoria Marinova, uccisa poco dopo la sua partecipazione al programma che conduceva per parlare proprio del vostro arresto e del caso “GPGate”. In pochi giorni la polizia ha dichiarato il caso chiuso con l’arresto di Severin Krasimirov, il sospetto omicida che avrebbe agito in preda ad un raptus sessuale. Qual è la sua opinione sul risultato delle indagini?

Credo che la procura non abbia voluto prendere in considerazione tutti i dettagli di questo terribile delitto, soprattutto quelli relativi ad una possibile relazione tra l’omicidio e le attività professionali di Viktoria. Secondo me, soprattutto a causa delle forti pressioni da parte della società civile, la polizia ha fatto di tutto per dichiarare il caso risolto nel minor tempo possibile. Accetto l’ipotesi che il presunto omicida possa essere coinvolto e colpevole, meno la velocità con cui la procura ha deciso di escludere la presenza di un mandante, o di un movente diverso da quello dell’aggressione sessuale. Molti particolari non tornano: Severin Krasimirov, ad esempio, è un ragazzo molto minuto. Resta da spiegare come abbia potuto avere la meglio così facilmente di una persona fisicamente attiva come Viktoria, che aveva i mezzi per potersi difendere da un’aggressione.

Negli ultimi dieci anni, la quasi totalità degli osservatori, sia bulgari che internazionali, segnala un drastico peggioramento nella libertà di espressione e di stampa in Bulgaria. Quali sono, secondo lei, i motivi principali di uno sviluppo così negativo?

Il mercato mediatico e la rete di distribuzione in Bulgaria sono stati monopolizzati di fatto, un’evoluzione che ha posto la maggior parte dei media in una situazione di forte dipendenza. Una dipendenza rafforzata dal fatto che, in una situazione di mercato difficile, le principali fonti di finanziamento per la stampa sono controllate proprio dai circoli di potere ed oligarchici più coinvolti negli schemi di corruzione. Una situazione che rende l’intero sistema mediatico poco trasparente e libero. C’è poi da aggiungere l’influenza di fenomeni di portata globale, come la crescita esponenziale delle fake-news, con effetti particolarmente deleteri in un ambiente mediatico fragile come quello bulgaro.

In questo quadro generale, qual è il ruolo del potere politico?

La politica, innanzitutto, avrebbe dovuto agire in modo preventivo, con misure atte a prevenire la creazione di un monopolio informativo. Nessuno ha poi mostrato la volontà politica di dotare la Bulgaria di una legge complessiva ed efficace sui media: l’ultima, voluta dal tycoon e deputato Delyan Peevski, non fa che servire gli interessi del proprio impero mediatico.

Quali sono oggi le principali sfide per i giornalisti bulgari d’inchiesta?

La sfida più grande è resistere, avere visibilità, riuscire a dare voce alle proprie inchieste. Raggiungere il pubblico è sempre più difficile, perché chi fa giornalismo d’inchiesta in Bulgaria viene subito trasformato dal potere in un nemico pubblico: inizi ad essere soggetto a misure di polizia ed inchieste della magistratura e diventi l’obiettivo di fake-news e campagne diffamatorie. Nei casi più gravi vieni minacciato anche fisicamente. Si è sempre spinti al limite: quindi anche solo resistere, dal punto di vista fisico, morale e spirituale diventa la vera sfida.

“Bivol” fa parte di una rete internazionale di media che si occupano di giornalismo d’inchiesta. Quanto è importante il sostegno internazionale della rete, sia nel portare avanti il lavoro d’indagine, che nel reagire ad attacchi contro i giornalisti?

La collaborazione a livello internazionale sta diventando sempre più importante, visto il deteriorarsi della libertà di stampa a livello globale. Senza una rete che varchi i confini nazionali, come giornalisti di inchiesta ci sentiremmo molto più soli e, forse, perduti. Tali reti aumentano la capacità dei singoli media di essere ascoltati, di raggiungere il pubblico. Nel caso concreto, ad esempio, se insieme a me non fosse stato fermato anche il collega rumeno, il mio arresto non si sarebbe trasformato in uno scandalo internazionale, né avrebbe attirato l’attenzione che ha avuto a livello europeo. Le reti internazionali creano anche importanti occasioni di finanziamento delle attività investigative, grazie alla maggiore capacità di attirare fondi rispetto alle singole testate.

In Bulgaria molti schemi corruttivi riguardano l’abuso di fondi europei. Ci sono meccanismi che l’UE potremmo mettere in campo per esercitare un controllo più efficace delle risorse destinate al paese?

Naturalmente esiste la possibilità di fermare l’erogazione dei fondi, che al momento, a mio modo di vedere, purtroppo servono a rendere più ricche le strutture del crimine organizzato in Bulgaria. Non credo però che a livello europeo ci sia la volontà di un’azione ferma nei confronti dell’attuale leadership politica bulgara, che si è ormai introdotta con successo nell’establishment che guida l’Unione europea. Un’azione contro il governo bulgaro metterebbe in imbarazzo proprio questo establishment, in particolare il Partito popolare europeo di cui fa parte il movimento del premier Boyko Borisov, e che quindi preferisce chiudere un occhio su quello che accade a Sofia e dintorni.


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