I nostri telegiornali non avevano la notizia fra i titoli delle edizioni serali, in molte testate europee invece era il primo o il secondo titolo. Ma l’assassinio a sangue freddo su un palco del sindaco di Danzica oltre ad essere un dramma in sé evoca con il nome di quella città i passaggi decisivi della storia europea del ‘900. L’assalto di Hitler partì da lì, dal corridoio di Danzica, nel 1939. Quaranta anni dopo, nel ’79, partì da lì la rivolta che in dieci anni si sarebbe propagata portando nell’89 al crollo dell’impero sovietico, e del muto di Berlino. Danzica. Cosa può significare oggi questo sindaco ucciso da un apparente squilibrato sotto gli occhi di una folla amica che appare distrutta, incredula, allucinata.
Pawel Adamowicz era una figura di riferimento dell’opposizione liberale, capofila dei sindaci progressisti in un Paese che non sa ricomporre la frattura culturale tra centro e periferia e che vive una lacerazione profonda da quando, nel 2015, sono tornati al governo i nazionalpopulisti di Jaroslaw Kaczynski: il partito Diritto e giustizia ha avviato una serie di riforme radicali che hanno rafforzato l’esecutivo, perseguito il dissenso e isolato la Polonia sulla scena internazionale.
Rieletto nel 2018 con il 65% dei voti per il sesto mandato consecutivo, dal 1998 Adamowicz era primo cittadino della città dove la Polonia cominciò a sognare, con Lech Walesa in piedi su un muro di mattoni a sfidare il potere. Al liceo, si era unito a Solidarnosc, il primo sindacato libero del blocco comunista, partecipando alla distribuzione di volantini e stampa clandestina. Poi gli studi in Legge, la carriera universitaria e gli inizi in politica nello stordimento del crollo del regime, della transizione alla democrazia e della terapia choc per rifondare il sistema economico.
Ora la Polonia filo europea, democratica e riformista, aveva individuato in lui un forte riferimento soprattutto per la sua difesa dei diritti civili e dell’accoglienza dei migranti. E Adamowicz infatti un vero riferimento lo era, in nome di una politica dell’accoglienza e del non respingimento, con lui il porto di Danzica sarebbe sempre rimasto aperto. Echeggiano nella sua figura e nelle sue parola molte, troppe analogie con quello che accade in Italia in questi giorni. E lui lo hanno ammazzato.