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“Con un linguaggio ambiguo il populismo sostituisce il popolo”

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Forse la migliore definizione di cosa sia il populismo e perché sia pericoloso l’ha fornita padre Arturo Sosa, preposito generale dei gesuiti, in un’intervista a Rainews24. Interpellato al riguardo dal collega Pierluigi Mele infatti ha affermato che “il populismo è una minaccia molto pericolosa per lo sviluppo politico e sociale dei popoli del mondo. Dietro agli atteggiamenti populisti si celano nuove forme di dominio di pochi sul resto dell’umanità. Molte forme di populismo sono solo varianti del personalismo tipico delle forme dittatoriali di esercizio del potere politico. Con un linguaggio ambiguo il populismo sostituisce il popolo, i cittadini organizzati, come soggetto della vita pubblica, privandoli del loro potere decisionale per concentrarlo nelle mani di pochi. Il progredire del populismo è il più grande ostacolo allo sviluppo della democrazia nel nostro tempo.” Dunque il populismo “assume” la rappresentazione della “volontà del popolo”,  supera i “cittadini organizzati” e li sostituisce con il capo, l’espressione politica diretta di quel che il popolo vuole. Coerente con questa visione, la più importante rivista dei gesuiti, La Civiltà Cattolica, in due numeri consecutivi ha tratteggiato l’alternativa al populismo, la politica “popolare”. Nel primo dei due articoli in oggetto il direttore, padre Antonio Spadaro, ha fatto ricorso a una parola importante per spiegare l’essenza dell’essere popolari: questa parola è “riconnettersi”. Una politica popolare connette, o nel caso italiano riconnette, il ceto politico che vuole essere popolare con la realtà, con il popolo, ma non solo con il popolo. Lo riconnette anche con il web, che non va demonizzato, va inteso come una piazza virtuale, dove si forma coscienza, consapevolezza, e conoscenza comune. Non va strumentalizzato, ma utilizzato, appunto, per riconnettersi, per interloquire, per conoscere, per capire, per dialogare, per crescere insieme. In un’espressione sola, per “vivere insieme”. Perché un popolo, come disse il cardinal Bergoglio, esiste in quanto scelta consapevole di vivere insieme, di voler vivere insieme. Ecco che una naturale espressione di questa idea di “popolo” la troviamo in quanto ha detto il Presidente Mattarella, citato e spiegato così sempre da padre Spadaro: “Il presidente Mattarella nel suo discorso di fine anno ha affermato una cosa fondamentale: l’importanza di «riconoscerci comunità». Infatti, «la vera sicurezza si realizza, con efficacia, preservando e garantendo i valori positivi della convivenza». Il disprezzo di coloro che sono stati costretti all’esilio – ha scritto pure il Papa nel suo Messaggio per la giornata mondiale della pace – è uno di quei vizi della politica che «sono la vergogna della vita pubblica e mettono in pericolo la pace sociale». Dunque non c’è nulla di popolare nel disprezzo, ma ci può essere molto di populista, usandone le paure, le ambasce, ma travisandone la cultura profonda nel nome di “un orco cattivo”.

Sull’ultimo numero di Civiltà Cattolica un altro gesuita, padre Francesco Occhetta, ha cercato il metodo dell’essere “popolare” nell’esperienza del Partito Popolare Italiano di don Luigi Sturzo, proprio cento anni dopo la sua fondazione. Scrivendo che “ In quegli anni Sturzo aveva maturato – come prosindaco di Caltagirone (1905-20), vicepresidente dell’Associazione dei comuni italiani (1915-24) e segretario della giunta dell’Azione cattolica – la consapevolezza che gli elementi di forza per la nascita del partito dovevano essere «la coesione spirituale» e «la fiducia tra le persone sparse nei territori».” In queste ultime parole, “sparse tra i territori”, ci si ricollega a un altro concetto espresso dall’altro punto di osservazione da padre Spadaro: “non bastano più i caminetti.” Intellettuali che nei loro salotti discutono dei problemi del paese possono contribuire a individuare ricette, ma non a  leggere, interpretare, esprimere le urgenze del popolo. Così quei caminetti sono distanti, elaborano bei documenti, ma “disconnessi”. Riconnettersi vuol dire andare in ordine sparso nei territori, capire che l’accoglienza è possibile, ad esempio, ma se poi si abbandona l’impegno per l’integrazione e si creano sacche di bighellonaggio urbano, non si è accolto, si è fatto tutt’altro.

Tutto questo vuol dire dar vita a nuovo partito cattolico? A me non sembra. La coesione spirituale di cui parla padre Occhetta non riguarda i soli credenti, la spiritualità riguarda tutti noi, credenti e non. Coesione spirituale vuol dire condivisione, e qui direi riconnessione, con la cultura popolare diffusa in questo Paese e che oggi le èlite hanno abbandonato per i loro salotti e i populisti snaturato nella loro corsa identitarista. Questa coesione è quella che invocava già tanti anni fa Pier Paolo Pasolini in “Lettere luterane”. I progressisti, diceva, hanno fatto a contestare il vecchio ordine clerico-fascista, quello che sosteneva il vecchio sistema di potere, patriarcale e autoritario. Ma quando il potere è cambiato, diventando consumista, avrebbero dovuto cercare una nuova base morale, non piegandosi a una visione individualista come quella della Bologna comunista e consumista, dove si lasciava sparire la cultura operaia.

E’ strano che quell’esigenza profonda e attualissima oggi sia avvertita e interpretata, seppur con altro linguaggio, da testi che nascono in un contesto non politico, non “di sinistra”. Come se la sinistra avesse rimosso uno dei suoi figli più grandi. A questa esigenza si risponde con un partito politico cattolico? Un altro gesuita, padre Bartolomeo Sorge, ha detto che è inutile discutere di canali irrigui se non c’è acqua. L’importante è l’acqua, poi si parlerà di canali. Padre Francesco Occhetta è ancora più chiaro: “i cattolici in politica dovrebbero essere riconoscibili non da un contenitore, ma dal loro atteggiamento spirituale e interiore; i politici che vivono la politica da cattolici non si devono porre solo il problema di «cosa» essere, ma di cosa fare e verso dove andare. L’irrilevanza politico-partitica di un «elettorato cattolico» distribuito ormai fra tutte le forze politiche non sarebbe tanto grave quanto un’irrilevanza prima di tutto di opinioni e di idee, di proposte concrete e di contenuti. Scommettere sulla formazione di una nuova classe dirigente è possibile, ma occorre creare un patto tra le generazioni di cattolici, perché la vera sfida di oggi non è tanto l’unità politica dei cristiani, quanto come costruire l’unità nel pluralismo.” Un problema che farebbero bene a porsi anche i laici progressisti. Per diventare se non popolari quanto meno non impopolari.


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