Ma dove nasce la sensibilità di Claudio Baglioni – messo sotto accusa per le parole di pietà e buonsenso dette alla presentazione dell’imminente Sanremo – per la povera gente, per gli ultimi, per i migranti? Era l’ottobre 2009. La settima edizione di O’Scià, il festival che il cantautore romano (classe ‘51, figlio di un maresciallo, infanzia a
Montesacro) ha organizzato per dodici anni a Lampedusa, si era appena conclusa e lui ci raccontava: «Ho scoperto Lampedusa nel ’98. Ero a Palermo, avevo fatto un concerto allo stadio La Favorita. Tutti mi parlavano di quest’isola. Decidemmo di venire a dare un’occhiata. Mi fermai per un mese…».
Baglioni parlava del suo amore per la maggiore delle Isole Pelagie nella sua casa a strapiombo su un mare turchese, vista mozzafiato sul Nordest dell’isola: Cala Creta, Cala Calandra, Capo Grecale. Dimora tutta bianca, con grandi spazi all’aperto aperti quasi ad anfiteatro naturale sul mare. Alcuni elementi a richiamare i caratteristici dammusi dell’isola.
«Ma non scrivo qui le mie canzoni, il posto è troppo bello, induce a fare altre cose. Per creare – disse scherzando, ma fino a un certo punto – bisogna star male, magari con un muro scrostato davanti…».
Tornando serio: «Volevo fare qualcosa per Lampedusa e nel 2003 ho cominciato con un mio concerto sulla spiaggia della Guitgia, come atto d’amore per l’isola e per attirare l’attenzione sul dramma dell’immigrazione clandestina. Poi, anno dopo anno, siamo cresciuti. Ma siamo sempre appesi a un filo. Il senso di O’ Scià è mettere a confronto più voci, istituzionali e non governative, per cui senza le prime non potremmo continuare. Se dovesse mancare il sostegno dello Stato non andrei avanti solo con gli sponsor privati».
Erano già gli anni dei respingimenti in mare. «I respingimenti tout court non sono da paese civile. E poi sono misure che si limitano alla superficie, l’immigrazione non è stata fermata, le persone arrivano lo stesso sulle nostre coste. Solo il 15% degli immigrati arriva con mezzi di fortuna, l’85% entra in Europa con regolari visti turistici. Chi arriva su queste spiagge non è clandestino, è visibilissimo. Questi immigrati sono i più disperati».
Sguardo lungimirante sul futuro. «Quella dell’integrazione è una strada lunga e difficile, ma è l’unica in grado di scongiurare lo scontro e favorire l’incontro tra le civiltà. Che poi è il senso stesso della storia dell’uomo, una storia millenaria fatta di migrazioni e di incontri. Vogliamo dimostrare che la vita è l’arte dell’incontro: il sogno è quello di sconfiggere ignoranza, pregiudizi e paure».
Dopo il 2012 le difficoltà e la burocrazia hanno interrotto il sogno di O’Scià. Ma non hanno ucciso i sogni e le idee. E l’invito all’accoglienza, che abbiamo ritrovato anche nel suo recente libro “Non smettere di trasmettere” (La nave di Teseo, pagg. 615, euro 18). Una raccolta di lettere al tempo di internet. Con alla base sempre quel desiderio di comunicare che, attraverso cinquant’anni di canzoni, ha fatto di Baglioni uno degli autori e interpreti più amati da un pubblico formato ormai da più generazioni. Lettere con spazi e lunghezze diverse per affrontare temi spesso importanti e complessi dell’esistenza e del mondo: il futuro, la pace, appunto le migrazioni. Sollevando domande ma senza la pretesa di dare risposte. Piuttosto con un invito all’accoglienza (“Proviamo ad aprire una porta anche noi”), perchè «l’altro e essenziale. E – non dimentichiamolo mai – per gli altri, l’altro siamo noi».
Oggi, nell’Italia del 2019, quello che era stato il cantante della “maglietta fina”, considerato di destra solo perché cantava i sentimenti e non alzava il pugno alla fine dei concerti, è diventato un nemico della politica sovranista che chiude i porti e lascia i profughi in mare. Paradosso dei paradossi, a minacciare l’epurazione del nostro sarebbe stata l’attuale direttrice di Raiuno, Teresa De Santis, che tanti anni fa seguiva il Festival di Sanremo per il Manifesto, quotidiano comunista. Le cose cambiano. Le persone pure. Ma la povera gente resta.