La storia della lingua italiana, e non solo italiana, è piena di neologismi, all’inizio spesso indigesti, che testimoniano l’evoluzione dei tempi e del costume, le contaminazioni tipiche di un mondo ormai globalizzato, le conquiste sul piano dei diritti. Per quanto ci si sforzi, tuttavia, è difficile trovare parole nuove, adeguate a descrivere quanto accaduto nei giorni scorsi a Trieste, dove il vicesindaco leghista Paolo Polidori ha gettato nei cassonetti delle immondizie le coperte di una persona senza fissa dimora approfittando della sua assenza e vantandosene poi su Facebook. È vero: al bullismo istituzionale, un ossimoro quasi indicibile ma molto concreto e molto quotidiano, ci ha già abituato il Ministro dell’Interno, il leader di quel partito di cui Polidori fa parte, come del resto il governatore del Friuli Venezia Giulia Fedriga, che ha difeso in maniera a dir poco imbarazzante le gesta del suo assessore, dimostrando ancora una volta di non avere la minima idea di cosa sono le istituzioni e quale rispetto esige il sangue versato per generarle.
Ma qui siamo oltre. E forse solo l’italiano (volutamente) sgrammaticato dell’ironico profilo Twitter di Vujadln Boskov, proprio in quel suo tentare di dire senza trovare la forma corretta, esprime al meglio ciò che non si può dire, non si può accettare, non si può conciliare con la nostra umanità: «Vantarsi di avere buttato coperte di senzatetto è come segnare gol mentre portiere a terra infortunato e andare sotto curva a festeggiare». È fuori dalle regole non codificate, dai più elementari principi di solidarietà, dai tratti costitutivi degli esseri umani in quanto tali. Non come il raggiungimento di una nuova sensibilità, come il frutto di un pensiero che è progredito ma come una sorta di universale culturale rintracciabile in tutte le società e in tutti i tempi. Leggiamo nel libro dell’Esodo al capitolo 22: «Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai prima del tramonto del sole, perché è la sua sola coperta, è il mantello per la sua pelle; come potrebbe coprirsi dormendo?». Se poi, prima di scagliarlo a mo’ di clava o di brandirlo come uno scudo, avessimo il coraggio di aprire il Vangelo e di leggere la parabola del Buon Samaritano, forse ci renderemmo conto che il cuore del cristianesimo è la compassione e non basta imporre crocifissi e presepi per definirsi cattolici, come gli amministratori locali triestini e il governo nazionale amano fare.
Per don Tonino Bello, un vescovo da molti definito anomalo perché apriva l’episcopio ai poveri o alle famiglie di sfrattati (ma non è anomalo il contrario? si chiedeva in un’intervista rilasciata al collega Daniele Rocchetti), quella del buon samaritano è l’icona evangelica più limpida dell’uomo politico: «il politico vero, come il buon samaritano, ha misericordia del popolo e gli si fa vicino per restituirgli la “mezza vita” che gli hanno tolta e non per aggiungergli la “mezza morte” che gli manca e stenderlo definitivamente» (don Tonino Bello, “Mistica arte. Lettere sulla politica”, edizioni La Meridiana). Ma tutto ciò, è evidente, presuppone un’idea alta della politica e uomini e donne all’altezza di quest’idea, non funzionari della propaganda pronti a barattare il bene comune per un pugno di like. Cosa ci si può aspettare da una Giunta che regala giocattoli solo ai bambini italiani, che con la scusa dell’assuefazione visiva toglie uno striscione che chiede verità e giustizia per un giovane ricercatore torturato e ucciso in Egitto, che tenta di censurare una mostra sulle leggi razziali nella città in cui quelle leggi furono annunciate ottant’anni fa, che dà della negra a una persona di colore, che organizza raid contro i richiedenti asilo? O da un governo che promette di eliminare la povertà e invece elimina i poveri, che lascia esseri umani a morire in mare, che mentre un giovane giornalista rientra in patria in una cassa da morto e la terra trema posta ciò che sta mangiando a pranzo?
Che si dimettano. Sarebbe il primo atto veramente istituzionale.
La reazione della città e di tutto il Paese dimostreranno se abbiamo ridotto il Male a banalità o se siamo ancora capaci d’indignarci e di muoverci, non solo di commuoverci il tempo di un post.