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Amore e jazz ai tempi della guerra fredda. ‘Cold War’ di Pawel Pawlikowski

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L’amore è più freddo della morte avrebbe detto Fassbinder e nessun titolo sarebbe più appropriato per il nuovo film di Pawlikowski, che ha vinto tutti i premi più importanti all’European Film Awards e la miglior regia all’ultimo Festival di Cannes.

Polonia. Fine anni Quaranta. Quello tra Zula e Wiktor è un amour fou, impossibile, anche se comincia in modo abbastanza semplice. I due infatti sembrano destinati a una pacifica esistenza finché lui non le chiederà di scappare dal regime comunista. Zula è incerta perché vorrebbe prolungare all’infinito quel presente fatto di tour musicali e amore rubato nelle pause. Wiktor invece aspira alla libertà, all’autonomia e alla possibilità di suonare la sua musica preferita, il jazz invece dei canti popolari polacchi. Successivamente a Parigi, quando ormai non dovrebbero più esserci problemi, è Zula a rimettere in discussione la loro relazione. La donna non è confusa dalla sfrontatezza e libertà dei costumi francesi, che in realtà le calzano perfettamente, quanto dal cambiamento di Wiktor, che in Polonia era una sorta di fiero dissidente mentre a Parigi è diventato uno dei tanti artisti bohémien desiderosi di sfondare. Come gli fa notare Zula, sembra più interessato a fare bella figura nella sua cerchia artistica piuttosto che essere sé stesso, nella luce come nei buchi neri della sua anima. Zula e Wiktor si rincorrono, si prendono, si lasciano e si cercano di nuovo.

Un amore destinato a non trovare appagamento in questa esistenza.

Il film non racconta solo una storia d’amore, ma fornisce anche una mappa socioculturale di quel fantomatico “blocco dell’est” che noi occidentali poco conoscevamo e di cui tutt’ora poco sappiamo. Uno spazio assente dal nostro immaginario culturale, fatta eccezione per qualche opera che ogni tanto riusciva a valicare il muro e che spesso raccontava di storie rurali. Poco conosciamo infatti della vita normale nelle grandi città, dove le persone, come i vicini occidentali, amavano andare a teatro, vedere mostre e assistere a concerti.

Cold War è costruito su numerose ellissi temporali che scandiscono il ritmo come fosse una sorta di tragedia dei sentimenti. Inoltre il raffinato e raggelante bianco e nero trasmette tutta la visione pessimista di Pawlikowski, il quale però allo stesso tempo riesce a densificare e rendere emozionante uno stile asciutto e austero, un po’ come aveva fatto con il precedente Ida.


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