Una presenza non di semplice solidarietà, certo genuina, bensì anche per raccogliere, facendolo proprio, l’invito del presidente della Comunità ebraica di Venezia, Paolo Gnignati, a promuovere una profonda riflessione sull’uguaglianza degli esseri umani, tutti, nessuno escluso. E’ con questo spirito che oggi, lunedì 28 gennaio, il Sindacato giornalisti Veneto ha partecipato, con Nicola Chiarini della giunta regionale, alla cerimonia della posa di altre cinque pietre d’inciampo in centro storico.
Un atto simbolico e concreto nel contempo con cui la Memoria diviene fisicamente parte della città di Venezia per ricordare persone che furono strappate dalle loro case negli anni del nazifascismo, per essere deportate nei campi di sterminio della Germania di Adolf Hitler, di cui il regime di Benito Mussolini era asservito complice. L’iniziativa è stata promossa dal Comune di Venezia, con la presidente del Consiglio comunale, Ermelinda Damiano, e l’assessora, Paola Mar, insieme alla locale Comunità ebraica, rappresentata oltre che da Gnignati anche dal portavoce e collega Paolo Navarro Dina, alla locale Chiesa valdese metodista rappresentata da Alberto Bragaglia e con il Centro tedesco di studi veneziani, l’Istituto veneziano per la Storia della Resistenza e della società contemporanea (Iveser) e con l’Ufficio territoriale del Consiglio d’Europa.
Nate da un’idea dell’artista tedesco Gunter Demnig, le pietre d’inciampo sono cubi di cemento incastonati nell’asfalto o nel selciato davanti all’abitazione della persona commemorata, coperti da una placchetta dorata che riporta il nome della vittima, la data di nascita, il giorno dell’arresto, il luogo di deportazione, la data di morte.
Molto partecipata la cerimonia che ha attraversato le calli e i campi di Venezia a partire da San Polo 2305 dove, non distante da Campo Sant’Agostino, viveva il maestro elementare Giovanni Gervasoni, di religione valdese e militante antifascista appartenente al Partito repubblicano italiano, impegnato nelle formazioni Giustizia e Libertà. Per l’impegno politico contro il regime fu inviato al confino a Ventotene. La deportazione avvenne a Dachau giunse dopo l’arresto del 3 gennaio 1944. Nel lager Gervasoni fu assassinato il 17 febbraio 1945, ad appena 36 anni. Il campo di Auschwitz, invece, inghiottì le vite della famiglia Muggia: il papà Giuseppe, la mamma Maria Ester Anna Levi, la giovane figlia Franca. I loro nomi ora sono ricordati dalle tre pietre poste davanti alla soglia del palazzo di Cannaregio 506, da cui furono tratti in arresto nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 1943. Dopo una prima fase di detenzione a Fossoli, in provincia di Modena, furono caricati nei treni blindati dei nazisti e tradotti nel campo di sterminio dove giunsero il 22 aprile 1944. L’unico della famiglia a salvarsi fu Giulio, fratello maggiore di Franca, i cui figli, giunti a Venezia da Israele dove il padre superstite si trasferì successivamente, hanno voluto portare un saluto.
Padre e figlio erano anche Achille e Gino Aboaf e, anch’essi, abitavano in Cannaregio, al 1444. Achille, prigioniero a Buchenwald, si spense il 30 aprile 1945, mentre Gino sopravvissuto a Mauthausen, ritornò a Venezia dove, oggi, la figlia ne conserva il ricordo, posando una nuova pietra a fianco di quella del nonno, già posizionata nel recente passato.
E sempre a Cannaregio, al 1771, è stata riposizionata anche la pietra in ricordo di Gustavo Corinaldi, che lo scorso anno venne rubata poco dopo la posa, atto che suscitò sdegno e condanna unanime.
In tutto sono 78 le pietre d’inciampo poste a Venezia in memoria delle vittime del nazifascismo e delle leggi razziali.