Una proposta indecente e una pistola

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di Lucio Luca

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Lucio Luca, giornalista di Repubblica e autore del libro “L’altro giorno ho fatto quarant’anni” (Laurana editore)

Il mio, il mio posto di lavoro intendo, invece era sempre più a rischio. Un giorno Pierino ci aveva chiamati nella sua stanza: “Quest’anno niente tredicesima. C’è la crisi, la pubblicità ci ha abbandonati, in edicola i lettori manco ci calcolano”. Era cominciata la fine.
La prima cosa che avevo pensato è che forse avrei dovuto trovarmi altri interessi. Che ne so, correre o tirare di boxe, magari frequentare la parrocchia e dare una mano a don Tommaso, il prete rivoluzionario del mio paese. Nel frattempo avevo già comprato una pistola e mi ero iscritto al poligono di tiro.
Nel diario avevo descritto l’ennesima giornata di merda: “L’editore vuole che approviamo un documento con cui, in pratica, ci tagliamo lo stipendio e autorizziamo trasferimenti che lui, ovviamente, utilizzerà per cacciare via quelli che gli stanno sulle palle o che gli costano di più. Io sono il primo della lista. Il Comitato di redazione ha convocato un’assemblea urgente per capire quale sarà il nostro futuro. Se ci sarà un futuro”.
Me la ricordo bene quell’assemblea. Sembrava una riunione degli alcolisti anonimi.
Si parlava del giornale e delle ultime follie di un padrone ormai senza freni che scavalcava il direttore senza farsi nemmeno troppi scrupoli, della proposta indecente che ci era piovuta in testa: dimissioni subito per essere riassunti a tempo determinato senza alcuna garanzia.
Tanti colleghi non avrebbero mai accettato di firmare una cambiale in bianco come quella. Sicuramente tutti quelli con il contratto vero, quelli che costano di più. Al giornale eravamo rimasti in pochi, il grosso era composto da chi prende meno di mille euro, c’è pure chi sta sotto i cinquecento. A loro Pierino chiedeva un certo tipo di impegno, da noi che abbiamo lo stipendio standard pretendeva proprio la vita. “Se volete continuare a lavorare dovete firmare questa carta — aveva detto agli articoli 1 — Poi vi faccio un nuovo contratto, ma alle mie condizioni. O così o lì c’è la porta”.
Naturalmente chiunque avesse accettato avrebbe dovuto dimenticare le sue qualifiche: si rientrava a metà prezzo da redattori ordinari. Con sei mesi di contratto rinnovabile per altri sei. Prendere o lasciare.
Avrei fatto bene ad andarmene pure io, ma non ho avuto il fegato per farlo. Potevo prendere la disoccupazione per due anni, cercarmi un altro posto. Ma cazzo, io questo giornale l’ho tenuto in piedi quando stava sprofondando, c’ero il primo giorno, ho resistito quando cambiavano i direttori e ci davano per spacciati. Sono rimasto. E’ stata la fesseria più grande della mia vita, ma non potevano vincere loro. Questo è il mio giornale, ci ho creduto, mi hanno pure minacciato per gli articoli che ho scritto. Non potevo accettare l’idea di avere sbagliato tutto. E quindi non potevo far altro che accettare: contratto a tempo determinato, metà dello stipendio, niente Tfr, niente festivi, niente di niente.
Dovevo farlo per la mia bambina. E per mia moglie: per lei restare a Cosenza è l’unica cosa che conta. Ho dei sospetti, non è più la donna che ho amato alla follia. Magari ha un altro ma sarebbe solo colpa mia. Che vita le ho offerto? Chi sta con un giornalista di provincia, uno di quelli che lavorano dalla mattina alla sera per un tozzo di pane, ha pure il diritto di trovarsi un uomo che la faccia sentire importante.
L’ho trascurata, ho pensato solo a me, al giornale, alla notizia. Ho creduto che questa fosse l’unica vera battaglia che valesse la pena di combattere. E invece poi, a un certo punto, ti volti indietro e scopri che hai perso soltanto tempo, che la donna che ti è rimasta accanto non è più quella che avevi conosciuto da ragazzo, che i tuoi figli sono diventati grandi e tu non sai niente di loro. Vorresti recuperare, ma ormai è troppo tardi. Non c’è più niente da fare, sei un estraneo. Game over.
“Credo che prenderò in considerazione soluzioni alle quali soltanto sei mesi fa non avrei neanche pensato”. L’ho scritto di getto sul diario, non so nemmeno io che cosa voglia dire. O forse sì ma cerco di nasconderlo anche a me stesso.
(11. continua)

Da mafie


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