Arrivederci Saigon, presentato all’ultima Mostra del Cinema di Venezia e in questi giorni nelle sale italiane, è stato proiettato all’interno della rassegna “Female Touch”, organizzata dall’associazione Blue Desk di Roma, con la regista presente.
Il documentario racconta una storia incredibile quanto vera. Nel 1968, la band italiana Le Stars, costituita da cinque ragazze toscane quasi tutte minorenni, si è ritrovata catapultata per tre mesi in Vietnam, nel bel mezzo del famoso conflitto. Le giovani erano partite ignare della loro destinazione, convinte (dal loro agente) che avrebbero fatto una tournée in diversi paesi asiatici tra cui Giappone e Filippine. Già dopo l’atterraggio a strapiombo nella base americana si resero conto che non sarebbe stata un’esperienza facile. Le ragazze cominciarono così il loro tour che consisteva in quattro concerti al giorno di 45 minuti a beneficio dei soldati e degli ufficiali americani. Tutto questo senza conoscere la data del ritorno e sotto la minaccia dei bombardamenti, in cui a volte i soldati e i civili perdevano la vita. E non era solo la paura di morire a devastare la loro quotidianità, ma anche la costante puzza di carogna, la scarsità e mediocrità del cibo (quasi sempre in scatola) e le malattie che potevano contrarre (una di loro si ammalò gravemente di polmonite). Ma in questo marasma di nonsense nel quale sprofondarono ci fu anche spazio per momenti di luce, come quello dei concerti in cui tutte quante, a partire dalla cantante, potevano dar sfogo alla loro anima soul oppure la gioia della condivisione e della solidarietà, considerando che tutte e cinque vivevano a stretto contatto 24 ore al giorno.
Sono loro stesse a raccontarsi cinquant’anni dopo, superando quella barriera fatta di ritrosia e pudore che le ha portate a tenere per sé questa esperienza e a relegarla nel dimenticatoio. Questo perché non appena tornarono si resero conto di essere guardate con disapprovazione (dal partito comunista della loro città, ma anche dalla famiglia e dagli amici) per aver suonato dalla parte sbagliata, cioè a sostegno dell’esercito americano. A nulla era valsa la spiegazione che fossero state raggirate e quindi mandate senza la loro volontà. Solo grazie all’interesse e alla costanza di Wilma Labate le quattro donne (una si è rifiutata) si sono liberate da questo “non detto” regalando racconti e aneddoti. Il documentario è diventato così una sorta di riscatto per Le Stars, le quali si sciolsero quasi subito dopo il ritorno dal Vietnam ma che oggi invece vanno insieme in giro per l’Italia a presentare il film, quasi in una sorta di reunion virtuale.
Arrivederci Saigon è un progetto molto intenso e stratificato che non parla solo di una storia tra tante ma di qualcosa di più grande, come il conflitto in Vietnam e i movimenti di contestazione. Grazie ad un raffinato montaggio le interviste delle protagoniste si intrecciano ad incredibili immagini di repertorio, reperite con molta pazienza da archivi sparsi in tutto il mondo.
Wilma Labate a fine proiezione ha raccontato il suo ’68 che non fu folgorante (aveva solo 18 anni e ancora non comprendeva molto bene tutte le implicazioni ideologiche) ma che le regalò qualcosa di prezioso: la libertà di stare fuori casa. Il ’68 infatti cambiò la vita di molte giovani donne, portandole fuori dalle mura domestiche, unico luogo fino a quel momento a loro deputato. E se si considera da un’angolazione differente, anche l’esperienza traumatica de Le Stars ha rappresentato un prezioso momento di emancipazione. Da un lato sono state trattate dal loro agente come ragazzine incapaci di decidere, dall’altro però hanno avuto la libertà di essere responsabili della propria incolumità e del proprio benessere.