A pochi giorni dal terzo mese di carcere, è stato rilasciato oggi il giornalista austriaco Max Zirngast, arrestato ad Ankara lo scorso settembre con l’accusa di terrorismo. Dovrà restare nel Paese fino al processo che inizierà l’11 aprile.
Il procuratore turco che ne aveva chiesto la custodia cautelare gli contesta di essere membro del gruppo Kivilcim, vicino al Partito Comunista Turco (TKP), che la Turchia ha bandito e considera organizzazione terroristica.
Il giornalista austriaco si era da poco diplomato all’Università tecnica del Medio Oriente ad Ankara in Scienze politiche e filosofia. In contemporanea stava realizzando un’inchiesta sul post elezioni e raccogliendo elementi e testimonianze di possibili brogli. Questa sua iniziativa ha suscitato l’interesse dei servizi di sicurezza che lo hanno segnalato alle autorità giudiziarie che hanno disposto il suo fermo e una perquisizione nella sua abitazione dove gli inquirenti hanno trovato materiale relativo alle attività del Pkk. Interrogato sui motivi per cui avesse in casa libri su Hikmet Kivilcimli, intellettuale e leader del partito marxista leninista, il 29enne austriaco ha dichiarato che era per motivi di studio, al fine di realizzare una ricerca / presentazione universitaria.
Non era la prima volta che Zigmast finiva nei guai per il suo lavoro. In passato aveva scritto articoli critici sul presidente turco Recep Tayyip Erdogan e pubblicato pezzi sul giornale del Kurdistan Workers Party, considerato fuorilegge, e sulla rivista socialista statunitense Jacobin.
Da quando è arrivato ad Ankara per completare i propri studi, il giornalista si è progressivamente impegnato in reportage sugli sviluppi politici e sociali in Turchia collaborando con portali di critica radicale come ReVolt Magazine.
Zigmast, inoltre, partecipava a numerose iniziative e seguiva la campagna del partito d’opposizione progressista HDP. Si era poi lasciato coinvolgere nell’organizzazione di campi estivi per i bambini delle famiglie povere curde, catalizzando su di sè sempre più l’attenzione dei servizi di sicurezza.
Ma a far scattare l’arresto, secondo il suo avvocato, è stato un editoriale del giovane reporter con il quale definiva ‘illegittime’ le elezioni del giugno scorso, riportando notizie di manipolazioni e di brogli elettorali.
Le organizzazioni in difesa della libertà di stampa e attivisti per i diritti umani hanno condannato da subito il fermo di Zigmast, come d’altronde non ha esitato a fare il governo austriaco. Il cancelliere Sebastian Kurz ne ha chiesto l’immediata liberazione pretendendo chiarimenti in merito.
Dal tentativo di colpo di stato del luglio 2016, il governo di Erdogan ha intrapreso un’ondata di arresti e condanne di giornalisti per presunti collegamenti terroristici. Sono almeno 168 gli operatori dell’informazione attualmente in carcere in Turchia.
Ma non è solo la stampa tra gli obiettivi delle operazioni contro la presunta rete golpista di Fethullah Gulen.
A oltre due anni dal fallito golpe le procure generali di Istanbul e di Ankara continuano a spiccare mandati di cattura contro esponenti di ogni categoria, dai militari agli accademici, dai funzionari pubblici agli insegnati.
Una repressione ininterrotta nonostante dallo scorso luglio sia stata decretata la fine dello Stato di emergenza.
Per quanto si propagandi lo ‘Stato di diritto riconquistato’ dai cittadini turchi, nulla sembra essere cambiato.
Violazioni di diritti e limitazioni di ogni genere vengono imposte in ogni ambito della società civile in Turchia e chi prova a contrastarle finisce in carcere.