No, non è un caso: mi sono andato a rileggere il sermone del pastore Martin Niemoller sull’inattività degli intellettuali tedeschi mentre i nazisti scalavano il potere e Adolf Hitler metteva in essere quelle persecuzioni e quelle “purghe” che aveva fin da subito teorizzato e propagandato. Quel sermone che molti attribuiscono a Bertolt Brecht. «Quando i nazisti presero i comunisti, / io non dissi nulla/ perché non ero comunista. / Quando rinchiusero i socialdemocratici / io non dissi nulla/ perché non ero socialdemocratico. / Quando presero i sindacalisti, / io non dissi nulla/ perché non ero sindacalista. / Poi presero gli ebrei, / e io non dissi nulla/ perché non ero ebreo. / Poi vennero a prendere me. / E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa».
Con più o meno gli stessi versi, ci sono anche delle versioni musicate e cantate. Un duo scozzese, “Hue and Cry”, per esempio, con “Yellow Triagle”: “When they came for the Jews and the blacks, I turned away / When they came for the writers and the thinkers and the radicals and the protestors, I turned away / When they came for the gays, and the minorities, and the utopians, and the dancers, I turned away / And when they came for me, I turned around and around, and there was nobody left…”.
Anche gli “Anti-Flag”, con la loro “Emigre”: “First they came for the communists, and I did not speak out / Then they came for the socialists, and I did not speak out / Next they came for the trade unionists, and I did not speak out / And then they came for me!”.
Paragonare i tempi di “oggi” con quelli di “ieri” sarebbe a dir poco da stolti. Non si deve dimenticare neppure per un istante il monito contenuto nella famosa 43esima acquaforte dei “Los caprichos” di Francisco Goya: “El sueño de la razón produce monstruos. Ma neppure va smarrito il beffardo assioma attribuito a Carlo Marx: “La storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa”. Nella farsa si è entrati da tempo, “oggi” magari appare più evidente. Ma è un qualcosa che viene da lontano; e senza assolutamente negare gli effetti micidiali, nefasti, mortiferi che nella versione dell’ “oggi” produce, un minimo di visione, conoscenza e senso della realtà non dovrebbe farci smarrire la memoria: “oggi” si raccoglie una “semina” di “ieri” e di prima ancora. Ma qui il discorso rischia di farsi lungo e complesso. Ci sarà modo.
Conviene tornare al silenzio, ai silenzi. Inquietante silenzio; preoccupanti silenzi. E tanto più perché pochi, tremendamente pochi, sono coloro che parlano, dicono. Si taccia per ignoranza, indifferenza, per complice connivenza, il risultato non muta; inquietudine e preoccupazione, se possibile, crescono quale sia la risposta addotta.
Il signor presidente del Consiglio Giuseppe Conte (caso rivelatore della situazione che attraversa questo paese: è un presidente “nominato” dai suoi due vice-presidenti), l’altro giorno se ne è uscito con una affermazione che conviene riportare per intero: “Io ero tra coloro che la mattina indulgeva nella articolata, dettagliata ed efficace rassegna stampa di “Radio Radicale”. Un imperfetto traditore. “Ero” sta per: “un tempo”. Quel tempo è finito? Troppo carico di impegni, ora che è inquilino a palazzo Chigi? Oppure il problema è in quel riconoscere: “articolata, dettagliata, efficace”? E’ quello il nodo della questione?
Il Governo del signor presidente Conte (e con lui Di Maio-Salvini), per inseguire un irrisorio risparmio taglia in modo drastico i fondi previsti ed erogati fino a poco tempo fa alla “Radio Radicale”, in virtù di una convezione con lo Stato per trasmettere (e conservare) integralmente tutte le sedute parlamentari e istituzionali.
Aver dimezzato quei fondi mette a serio rischio e pericolo la vita stessa dell’emittente, che non dispone di alcun altro tipo di pubblicità (e di conseguenza di condizionamento esterno). Fa “servizio pubblico” senza “se” e senza “ma”. Registra e conserva (a disposizione di tutti, oggi e per il futuro) congressi, manifestazioni, processi, e quanto è di indubbio interesse pubblico, giornalistico, storico, per chi opera “oggi”; per chi un “domani” vorrà ricostruire i tempi che si vivono e patiscono.
Il signor presidente del Consiglio Conte nega che vi sia “alcun intento punitivo…vogliamo sollecitare le imprese sul mercato a stare sul mercato. Non è un attentato alla libertà dell’informazione, c’è il massimo rispetto per la libertà di stampa da parte di questo governo, sono valori sacrosanti, lo scambio dialettico e vivace non può essere un attentato. Siete stimolati a trovare delle risorse alternative”.
E’ di tutta evidenza che il signor presidente del Consiglio non ha la minima percezione della gravità delle sue affermazioni. E’ perfino legittimo sospettare che il signor presidente del Consiglio parli di cose di cui non ha la minima conoscenza. Parlare di “mercato” a proposito di una convenzione per un servizio reso all’intera collettività (un servizio “articolato”, “dettagliato”, “efficace”), è la solare dimostrazione che il signor presidente del Consiglio, come dicono a Napoli, parla a schiovere: espressione colorita usata per definire chi parla quasi a pioggia battente: il parlare di chi non ha nulla da comunicare, dà sfogo libero alla lingua; a mo’ di pioggia inonda di vuote parole, senza significato e costrutto. A libera ruota. Con tutto il rispetto che si deve alla figura del presidente del Consiglio e all’istituzione, esprimersi come ci si è espressi riguardo “Radio Radicale” è un parlare a schiovere; sarebbe un pessimo servizio a quella libertà di stampa, pensiero, espressione invocati, se non lo si dicesse con franchezza e risolutezza.
Il problema, ora, va al di là del signor presidente del Consiglio e del Governo che presiede. Il problema, ora, è del silenzio, dei silenzi. Stanno prendendo “Radio Radicale” (ma anche “Avvenire”, “Il Manifesto”). Cari Maurizio Molinari e Luciano Fontana; Mario Calabresi e Virmian Cusenza; Vittorio Feltri e Maurizio Belpietro; Alessandro Sallusti e Marco Travaglio…e tutti: opinionisti, commentatori, giornalisti, colleghi: voi che tutti dovete qualcosa in termini di conoscenza, “sapere”, alla “Radio Radicale”: siete sicuri che il libero mercato sia quello di cui parla il signor presidente del Consiglio? Siete sicuri che sia un buon affare, per voi, per noi, per tutti, che la convenzione non sia rinnovata? Che non sia un bene collettivo per noi e per chi verrà, assicurare integrità e conoscenza delle sedute parlamentari, dei congressi, delle manifestazioni, delle assemblee, dei processi, degli eventi a cui anche voi, spesso, prendete parte attiva? Sicuri che si debba e si possa tacere? Per la “Radio Radicale”, ma per voi, e per noi tutti. Per poter continuare a conoscere; per onorare l’einaudiano liberale precetto del “conoscere per deliberare”.