Carlo Maria Maggi è scomparso il giorno di Natale. Condannato all’ergastolo il 20 giugno dello scorso anno, il mandante della strage di Piazza della Loggia a Brescia (28 maggio 1974, 8 morti e 102 feriti) si è spento dopo una lunghissima malattia a ottantatré anni.
Da quando il 20 giugno 2017 la Corte di Cassazione ha confermato in via definitiva la condanna a vita per Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte, i presunti responsabili oggi non sono più solo presunti. C’è la certezza processuale e definitiva che la matrice dell’attentato sia stata ordinovista. Per i giudici Maggi non si limitò a volere la strage, piuttosto procurò l’esplosivo che poi venne affidato a Carlo Digilio e Marcello Soffiati. Quell’ordigno, nascosto in un cestino dei rifiuti, esplose durante una manifestazione antifascista contro il terrorismo nero. In realtà, diversamente da Maurizio Tramonte, di quella condanna Maggi non ha scontato un solo giorno di carcere. Da sempre in precarie condizioni di salute per una neuropatia congenita, ha trascorso gli ultimi anni di vita agli arresti domiciliari.
Classe 1934, medico di base nell’isola della Giudecca e in precedenza all’ospedale geriatrico Giustinian di Venezia, Maggi fu membro in passato dell’Msi, da cui però venne espulso a fine anni Sessanta proprio per i suoi presunti legami con il terrorismo fascista. Più volte colpito da ordine di arresto, ricordiamo poi i dodici anni inflitti per la strage di Peteano o quella a nove per la ricostituzione del partito fascista. Venne in seguito due volte assolto per la strage di Piazza Fontana (12 dicembre 1969, 17 morti, 88 feriti) e per l’attentato alla questura di Milano (17 maggio 1973, 4 morti, 52 feriti).
Nonostante il tentativo di dimenticarlo, Carlo Maria Maggi sarà ricordato per le violenze e il dolore degli anni Settanta. Brescia, profondamente ferita da organizzazioni neofasciste come Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, oggi non ha più bisogno di queste cose.