Settant’anni dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, suggello di quell’ideologia onusiana che avrebbe potuto rendere il mondo assai migliore di come effettivamente è stato se solo fosse stata perseguita con la convinzione e la passione civile che animavano Eleanor Roosevelt, sua artefice e punto di riferimento per tutti coloro che si riconoscono in valori progressisti.
Settant’anni all’insegna della pace, almeno per quanto riguarda l’Occidente, settant’anni di giustizia, libertà, diritti, speranze e prospettive.
Settant’anni nel corso dei quali sono diventate possibili cose un tempo impensabili, a cominciare dallo sviluppo della persona umana, della sua dignità, delle sue aspettative di vita e delle sue relazioni con il prossimo.
Settant’anni di prosperità: un qualcosa che diamo erroneamente per scontato quando, in realtà, si tratta di una conquista assai recente e tutt’altro che acquisita per sempre.
Settant’anni in cui molto è cambiato, scenari ed equilibri sono mutati più volte e senza dubbio abbiamo tratto innumerevoli vantaggi da quella che può essere considerata, non a torto, la Carta del mondo.
Settant’anni e l’amara sensazione che oggi la maggior parte dei diritti sanciti dalla Dichiarazione siano messi in discussione, anche in America, anche nel ricco e benestante Occidente, ormai in preda alla barbarie, al razzismo, alla xenofobia, a governi, in alcuni casi, pericolosi e irragionevoli e a una deriva che potrebbe produrre conseguenze imponderabili.
Settant’anni e il tormento di veder sconfitti quei princìpi che furono tra le conquiste più importanti del dopoguerra, mentre i migranti vengono abbandonati in mare, non accolti, non integrati e dilaga dappertutto un fascismo persino più atroce di quello originario, in quanto ancora più devastante per la tenuta democratica del pianeta.
Settant’anni e la rabbia per il devastante regresso che abbiamo sotto gli occhi, mentre ci accorgiamo di aver smarrito persino le parole per opporci alla violenza che ci travolge ovunque.
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