“Il governo e il popolo ungherese vogliono più sicurezza e più lavoro. E per questo l’Europa li processa? Una follia”. Così ai primi di settembre il ministro dell’Interno Matteo Salvini provava a motivare il voto contrario della Lega ( insieme al resto del centro destra italiano) all’avvio della procedura UE per sanzionare l’Ungheria per violazione dei diritti umani. D’altronde Salvini si era incontrato pochi giorni prima a Milano con il primo ministro Viktor Orban che lo aveva addirittura definito “il mio eroe, cui va il mio appoggio al 100%, un uomo che in Ungheria vincerebbe sicuramente le elezioni perché molto popolare”. Poi il Parlamento europeo non ha dato ascolto alla coppia sovranista ( nel suo gioco di equilibrismi Orban sarebbe del Ppe ma in realtà è il modello di tutta l’estrema destra continentale) e ha votato con 448 si contro 197 no proprio l’avvio del meccanismo delle sanzioni, sul quale decideranno i capi di Stato e di Governo della Ue.
Ma perché questa “condanna” parlamentare definita da Salvini una follia? In Italia è passata l’interpretazione che fosse dovuta alle politiche contro i migranti. In realtà il pacchetto di violazioni dei diritti umani è decisamente più consistente: riguarda anche l’indipendenza della giustizia, il controllo dei media, la libertà accademica e i diritti sociali. Già, perché dal dicembre 2010 l’Ungheria ha adottato una legge che di fatto limita drasticamente pure il diritto di sciopero.
Fermiamoci qui. Ma è fondamentale, per capire cosa stia avvenendo, fotografare il contesto in cui sono maturate le manifestazioni popolari di protesta delle ultime settimane. Da quando nel 2010 è tornato al potere Orban ha progressivamente impresso una svolta autoritaria a tutto il sistema. Nel campo dell’informazione e dell’educazione la situazione è particolarmente sconfortante: quasi tutte le voci informative ( radio, tv, giornali, siti) e le istituzioni sono state portate sotto il controllo di uomini e apparati legati al governo senza distinzioni fra pubblico e privato.
Il meccanismo di svuotamento dello stato di diritto ha registrato in questo mese di dicembre ( col gelo invernale manifestare è più faticoso, questo il calcolo del potere) un’ulteriore accelerazione. Sono state approvate due leggi. La prima istituisce dei tribunali amministrativi controllati direttamente dall’esecutivo che non danno in concreto alcuna garanzia di indipendenza sul rapporto cittadini stato. La seconda è la cosiddetta “legge schiavitù”: il limite per lo straordinario è stato innalzato a 400 ore l’anno, con la possibilità per gli imprenditori di pagarle con 36 mesi di ritardo. In poche parole gli operai sarebbero chiamati a lavorare ( la volontarietà è pura finzione) 10 ore al giorno o sei giorni su sette alla settimana senza nemmeno riscuotere subito il salario dovuto.
Chiaramente si tratta di un regalo alle imprese. Ma perché è stato necessario? Il punto da capire è questo. L’Ungheria è un piccolo paese di quasi 10 milioni di abitanti ( ne ha meno della Lombardia) ma è centrale in Europa. E’ un luogo ideale per i produttori stranieri, in maggioranza tedeschi ma non solo, pure le aziende italiane non mancano. Salari contenuti e “assenza” di sindacati attirano gli investitori. Cos’è che difetta allora? Mancano lavoratori. E questo per due ragioni: perché le porte chiuse ai migranti impediscono l’arrivo di nuova forza lavoro e perché quella che c’è, se può, scappa, emigra all’estero per trovare migliori condizioni non solo salariali ma anche di vita, maggiore libertà.
In questi anni l’emigrazione (osteggiata inutilmente dal governo) ha portato a un’emorragia progressiva di 500/600mila persone che per un paese così sono tantissime.
Insomma lo slogan sovranista “prima gli Ungheresi” ha funzionato alla grande nei giorni caldi dell’ondata migratoria del 2015 portando il 50% dei voti ( e due terzi dei seggi parlamentari) a Orban ma alla lunga si sta dimostrando quello che era fin dall’inizio: una truffa. Bisognerebbe dire piuttosto: prima le imprese, prima le multinazionali, prima gli apparati di burocrati e funzionari che si arricchiscono razzolando intorno al potere, non certo prima gli operai. E così è avvenuto il “miracolo”: dopo anni di sostanziale impotenza le strade sono tornata a riempirsi di oppositori con un’unità fra forze politiche e sindacali mai vista in precedenza. Una raffica di manifestazioni in molte città del paese animate da lavoratori e studenti. Come già accaduto nella storia di quel paese ( il passato non passa mai e ogni popolo ha una sua identità profonda) lì la gente, quando non ne può più, non ha paura a scendere in piazza e la maggioranza assoluta parlamentare non basta a Orban per sentirsi sicuro. Lui, alla radio di Stato, ha definito le proteste “Urla isteriche”. Un dittatore non avrebbe saputo far meglio. “Stanno rovinando il paese, le loro menzogne sono sconfinate” ha aggiunto, facendo intendere un possibile inasprimento della repressione. I suoi sodali di governo hanno ovviamente parlato di “agitatori pagati da Soros”, il miliardario chiamato in causa come capro espiatorio dal potere ormai anche per le calamità naturali.
Vedremo come andrà a finire. In tutta Europa la questione sociale sta riemergendo, le classi esistono, i mercati decidono vincitori e vinti e questi ultimi, stremati, rialzano la voce. E la retorica nazionalista si dissolve, non c’è sovranismo fasullo che tenga nell’economia globalizzata del nostro tempo. Dov’è finita quell’unione sacra fra governo e popolo ungherese “tanto lucidamente” decantata da Salvini solo poche settimane fa? Ai ceti più deboli puoi anche dare in pasto i migranti. Poi però, quando vedono che restano poveri anche coi propri campioni al governo, finisce che non stanno zitti. E si fanno sentire. A proposito siamo proprio sicuri che oggi nelle strade di Budapest Salvini sarebbe accolto come un eroe?