“Siamo al Messaggero in picchetto, alla fine abbiamo deciso. I frati svegli anche loro al piano di sopra. Mio marito sta portando coperte e caricabatterie. Comincia a fare freddo”.
Madri di famiglia che a 50 anni, chi più chi meno, si trovano a bivaccare la notte in redazione per salvare il proprio posto di lavoro a conclusione di una giornata come tante che a metà mattina si è trasformata in un incubo senza ritorno. Hanno “occupato” una stanza dell’enorme edificio a fianco della Basilica di Sant’Antonio nel cuore di Padova, il cui ingresso è prospicente a quello dell’ineguagliabile Orto botanico.
Anche io sono tornata a casa da poco. A distanza di oltre 12 ore fatico ancora a credere a quanto successo in questo giovedì 6 dicembre, in cui in tanti festeggiano San Nicolò e tutti stanno già pensando ai regali di Natale e ai buoni propositi di fine anno. Non i frati, quelli del convento antoniano che invece ai loro 8 giornalisti hanno comunicato la “buona novella”: la chiusura della redazione della rivista ultracentenaria e il loro licenziamento.
L’appuntamento è alle 9.30. Sul tavolo c’è la discussione dell’accordo sul contratto di solidarietà al 20% scattato lo scorso 15 gennaio della durata di un anno. Da una parte noi, il Sindacato dei giornalisti Veneto, e la fiduciaria di redazione, Giulia Cananzi. Dall’altra loro: l’amministratore frate Giancarlo Capitanio, il consulente del lavoro Stefano Goldoni, il responsabile commerciale Oscar Raimondi, la segretaria dell’ufficio personale Elena Mauro. Qualche battuta di prammatica, poi l’illustrazione dei dati di bilancio: le perdite continuano, sembrano inarrestabili, nel 2018 la stima del passivo sfiora i 3 milioni di euro che va ad appesantire una situazione già di forte deficit causato dall’emorragia delle copie. Ergo calano le entrate, e i costi annientano i ricavi facendo lievitare il disavanzo.
A dare l’annuncio choc è fra Giancarlo. Riflettendo a mente fredda realizzo cosa mi ha trafitto, al di là del merito: la sua freddezza. Non ha provato minimamente a indorare la pillola. Che so dire almeno sono dispiaciuto, affranto, fatico a trovare le parole: “Sono stato autorizzato a comunicarvi la cessazione di tutti i rapporti di lavoro giornalistico”, secco, tagliente, brutale. Confesso che mi ci è voluto qualche minuto per realizzare, tanto che ho chiesto cosa intendesse dire. Ma il termine licenziamento non ha avuto il coraggio di pronunciarlo. Anche se non ha mai nascosto in passato il suo disappunto per la categoria “pagata troppo”. Un’aggressione a freddo, senza la minima avvisaglia, senza la possibilità di trattativa alcuna. Il messaggio è chiaro: abbiamo deciso di chiudere. Punto. Non si discute. La voce di Giulia è ferma e nel contempo scossa: “Non avete fatto alcun sforzo per fare andare bene il sistema che non funziona da 4 anni. Non basta tagliare, manca una strategia di rilancio. Non abbiamo potuto mettere a regime a nulla. Quanta malafede, non vedo trasparenza,
ci considerate dei bambini, ci cacciate con un calcio al culo, dimostrando un’inumanità pazzesca”. I nostri sguardi si incrociano. Non serve parlare. Ci alziamo insieme e ce ne andiamo. Raggelate. “Come lo diciamo alle colleghe e ai colleghi” ci chiediamo incredule facendo le rampe di scale per raggiungere i locali della redazione.
“Possibile che questi siano i frati che predicano la carità cristiana e la parola evangelica? Possibile che non abbiano alcun scrupolo a gettare in mezzo a una strada 8 persone, ognuna delle quali con un proprio vissuto e un proprio fardello di piccole e grandi difficoltà?”.
Ci siamo tutti. Manca solo un redattore a casa in solidarietà che viene avvertito telefonicamente. Basta guardare la trasformazione dei loro volti: non ci credono, non ci vogliono credere. Un pugno in pieno stomaco, di quelli che tolgono il fiato, che ti spezzano le reni. Sono tramortiti. Appena il giorno prima gli era stata cambiata la sim del telefono aziendale, stanno lavorando al primo numero del 2019 che uscirà con la grafica rinnovata, hanno ricevuto l’invito per la messa di Natale e per la tradizionale gita.
Non può essere vero. “I frati editori sono peggio dei peggiori editori” penso a voce alta. Nemmeno il tempo di metabolizzare la sentenza a morte: ti uccidono direttamente.
Occorre reagire subito. Sciopero a oltranza, iniziative di mobilitazione, sensibilizzazione di istituzioni laiche e religiose. Le prime telefonate sono quelle a Raffaele Lorusso, segretario generale della Fnsi – “Se i frati pensano di fare il Messaggero di Sant’Antonio senza giornalisti si sbagliano di grosso” – e al presidente della Fnsi, Beppe Giulietti: “Vengo a Padova a incontrare i colleghi, non si può tacere. I frati spengono un faro che da sempre illumina le periferie”. Poi al portavoce del Governatore veneto, Luca Zaia, all’addetto stampa del sindaco di Padova, al presidente dell’Ordine dei giornalisti del Veneto e a tanti altri. La Fnsi diffonde un comunicato durissimo. Segue quello del Sindacato giornalisti Veneto e quello dei giornalisti del Messaggero di Sant’Antonio: “La redazione condanna con fermezza questa presa di posizione unilaterale, alla vigilia di Natale, alla vigilia del restyling grafico del giornale il cui lancio era previsto nel gennaio 2019 e proprio nel 120esimo anno di pubblicazione della rivista. Non sono stati offerti piani alternativi, non è stato offerto alcun rilancio della rivista, alla rappresentanza sindacale non è mai stato dato in mano un bilancio, non sono state offerte forme di dialogo, non è stato mostrato rispetto alcuno per la competenza e passione sempre profuse nella realizzazione di un’ottima rivista conosciuta e apprezzata in tutto il mondo, diffusa in 270mila copie in abbonamento solo in Italia oltre che sul web, senza contare le copie del «Messaggero dei ragazzi», del «Messaggero di sant’Antonio» edizione italiana all’estero e poi delle edizioni in varie lingue che vengono spedite in 160 Paesi. A fronte di questa preoccupante opacità e di scelte così fuori da ogni decenza, non degne di una struttura francescana, i giornalisti del «Messaggero di sant’Antonio» proclamano uno sciopero a oltranza per la tutela della loro dignità e dei posti di lavoro fino a quando l’azienda non riprenderà un dialogo costruttivo, a tutela della dignità professionale e umana di tutti, per uscire insieme da una pagina tra le più tragiche e vergognose che questa realtà abbia mai vissuto”.
E poi la lettera al Vescovo di Padova, sua eminenza Claudio Cipolla: “Le scriviamo perché francamente siamo tutti sfiduciati dinanzi all’agire di una Chiesa che si fa portavoce di valori come giustizia, carità, rispetto ed è poi la prima a calpestare l’essere umano.
Da parte nostra riteniamo di avere sempre agito in modo corretto, cercando di mettere passione in tutto ciò che abbiamo fatto, spesso oltre i nostri obblighi.
Non riusciamo ancora a credere che questo sia avvenuto!
Le confidiamo che siamo profondamente feriti e che ci sentiamo umiliati, quasi incapaci di reagire, anche se sappiamo che dobbiamo combattere per difendere il nostro posto di lavoro”.
I cellulari cominciano a squillare. Giornalisti di testate radiotelevisive, web, e della carta stampata locali e nazionali. Vogliono sapere. Sono esse stessi attoniti ed esterrefatti.
Siamo a metà pomeriggio. Il pranzo? Nessuno ha voglia di mangiare. Qualcuno recupera cracker e biscotti. Saltano fuori anche dei mandarini. Il passare delle ore non attutisce il colpo. Al contrario. Le interviste continuano. Si fa sera. C’è il viavai degli altri lavoratori della “galassia antoniana”: portano la loro solidarietà. Hanno gli occhi lucidi. La Rsu scrive un comunicato commovente e annuncia che nell’assemblea prevista per martedì 11 dicembre verrà proposto uno sciopero del personale MsA. Arriva anche Stefano Edel, presidente dell’Assostampa padovana. Quando l’ho avvertito di quanto stava succedendo stentava a credermi: “E’ la vertenza più crudele che io ricordi” confida. Incontriamo in via informale fra Giancarlo Zamengo, direttore generale, e Goldoni: si cerca uno spiraglio. Inutilmente. La procedura di licenziamento scatterà il prossimo 14 gennaio alla scadenza del contratto di solidarietà.
Si fa sera. Le facce sono stravolte. I cellullari continuano a squillare. Saluto. E negli abbracci fioccano le lacrime trattenute a stento per tutto il giorno: “Sono arrivata questa mattina che avevo un lavoro e ora non ho più nulla” mi dice Nicoletta fra i singhiozzi.
In auto, nel tragitto verso casa, cerco di focalizzare il problema, di pianificare la strategia di attacco, di individuare una via d’uscita. Nella mente mi risuona la frase di Nicoletta. E mi viene spontanea l’associazione di idee alla pietas che i frati dicono di avere per il prossimo, giornalisti esclusi.
*Segretaria Sindacato giornalisti Veneto