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Media turchi, tra solidarietà e assuefazione europea

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La stampa in Turchia è sotto assedio. Più del 90% dei media nazionali è controllato da società filogovernative. Oltre 160 giornalisti si trovano in prigione, di cui 129 a seguito del tentato golpe del luglio 2016. Dopo quella data sono stati chiusi 54 quotidiani oltre a 6 agenzie di stampa, 24 stazioni radio, 17 reti televisive e 20 riviste. Purtroppo sembra che ormai l’opinione pubblica in Europa si sia assuefatta a queste notizie, avendo quasi accettato che la Turchia si sta trasformando in un “Turkmenistan islamista”.

Sono queste le premesse e alcuni dei commenti emersi dall’evento  organizzato mercoledì scorso dalla International Press Institute (IPI) in collaborazione con il quotidiano tedesco WELT a Berlino, presso la House of the European Union. A prendere la parola numerosi giornalisti e giuristi di punta che hanno offerto testimonianza diretta delle condizioni in cui i membri della stampa continuano a svolgere con decisione il proprio lavoro in Turchia, con uno sguardo caparbio sul futuro.

E l’Europa?

Oltre alla descrizione delle difficoltà a cui la categoria di professionisti è sottoposta quotidianamente, il dibattito aveva come focus anche il ruolo dell’Europa nella difesa dei diritti fondamentali in Turchia. “L’Europa deve prendere una decisione. Deve decidere se continuare a impegnarsi con la Turchia o abbandonarla”, ha detto Nevşin Mengü, che per diversi anni è stata anchorwoman alla Cnn turca, fino al recente licenziamento. “Ma se la abbandona deve prendere atto che ai suoi confini si troverà un Turkmenistan islamista”, ha aggiunto la giornalista, “e l’Europa dovrà fare i conti con questa realtà”.

“Se questo evento fosse stato realizzato due anni fa ci sarebbero state molte più persone di oggi”, è stato invece l’esordio del giornalista turco-tedesco Deniz Yücel, rilasciato lo scorso febbraio dal carcere turco di Silivri dopo esservi rimasto in custodia cautelare per oltre un anno. Le autorità tedesche si erano adoperate in maniera decisa e attiva per il rilascio del reporter, nel cui processo – ancora in corso – la magistratura turca ha chiesto fino a 18 anni di prigione.

“La Turchia non è un paese qualunque per la Germania. Non c’è tedesco che nella sua vita non sia andato almeno una volta in vacanza in Turchia, che non abbia un amico o vicino di casa turco. In più la Turchia fino a poco tempo fa era un paese che voleva entrare nell’Unione europea. È per questo che la reazione alla direzione autoritaria assunta dal paese negli ultimi 5 anni è stata più forte qui che in altri paesi dell’Europa occidentale”, ha affermato Yücel. “Il mio arresto ha contribuito ad accrescere tale attenzione ed il mio nome è diventato un simbolo per parlare della situazione della stampa turca in generale. Purtroppo però, nel momento in cui ho smesso di diventare un simbolo – perché rilasciato – anche l’interesse dell’opinione pubblica è calato”.

Un esempio, portato a riguardo da Yücel, è il quotidiano online turco-tedesco TAZ  , fondato 2 anni fa e interamente sostenuto con gli abbonamenti dei lettori. “Notiamo che quest’anno la cifra necessaria per svolgere le attività redazionali si sta raggiungendo con grande fatica, mentre non era così negli anni passati. Purtroppo questo è segno che sia l’opinione pubblica che il governo tedeschi si stanno per abituare all’idea che la Turchia sia una causa persa”, commenta il giornalista.

L’importanza della mobilitazione

Allo stesso tempo è innegabile il ruolo positivo dell’Europa, delle istituzioni UE, del Consiglio d’Europa come delle organizzazioni che in questi anni si sono mobilitate per sostenere la libertà di stampa in Turchia.

Il direttore del quotidiano indipendente Evrensel Fatih Polat ha ricordato quanto sia importante la presenza di osservatori internazionali ai processi che quotidianamente colpiscono i colleghi. “La solidarietà influenza l’atteggiamento dei giudici in aula. Quando ci sono osservatori esterni si sentono in dovere di spiegare le decisioni. In uno dei processi a cui ho assistito il giudice ha addirittura sottolineato che ‘il processo era seguito dall’opinione pubblica’”. Un atto di solidarietà importante è la campagna di abbonamenti appena lanciata da IPI  per sostenere Evrensel e BirGün, tra i pochi quotidiani indipendenti rimasti del panorama mediatico turco.

Nurcan Baysal, attivista per i diritti umani e giornalista curda, ha spiegato quanto sia ancora più difficile poter svolgere il proprio mestiere nelle province sud-orientali a maggioranza curda. “Qui le attività dei giornalisti sono plasmate dalle guerre e dagli scontri che avvengono nella regione. Dopo che nel 2015 è stato interrotto il processo di pace, il giornalismo è stato sempre più equiparato al terrorismo”, ha detto Baysal. La stessa giornalista è stata fermata per aver inviato dei tweet contro l’intervento dell’esercito turco ad Afrin all’inizio di quest’anno. “So per certo che alla procura di Diyarbakır c’è una persona addetta a controllare le mie attività sui social media”, aggiunge l’attivista la quale sottolinea che se è stata rilasciata “è stato grazie allo scalpore suscitato in Europa dal mio arresto”.

La giornalista Mehveş Evin, che dopo una lunga carriera al quotidiano mainstream Milliyet lavora

per i portali Artı Gerçek e Yeni Yaşam, spiega che anche dei piccoli gesti simbolici di sostegno possono influenzare il morale dei giornalisti detenuti, facendo sapere loro – e a chi li tiene imprigionati – che non sono abbandonati a se stessi. “Inviare libri o lettere è un metodo estremamente valido per dimostrare questo sostegno”.

Tora Pekin, avvocato del processo al quotidiano Cumhuriyet ha sottolineato che il sostegno ricevuto dai media internazionali è stato essenziale. Allo stesso modo la costituzione a parte civile  di organizzazioni per i diritti umani, di IPI e di altre organizzazioni di stampa presso la causa avviata alla Corte europea dei diritti dell’uomo è un atto di sostegno molto forte, ha detto Pekin.

Continuare le azioni di solidarietà a fronte di pressioni giuridiche, giudiziarie ed economiche che interessano i giornalisti in Turchia resta dunque fondamentale. Tuttavia, secondo il giornalista Bülent Mumay i fondi europei per sostenere il giornalismo in Turchia o le donazioni di altre fondazioni come la Open Society o la fondazione Endowment [European Endowment for Democracy, n.d.r] sono utili, ma non sostenibili a lungo raggio.

Quello che serve in Turchia – secondo Fatih Polat – è un sostegno economico che non danneggi i criteri deontologici del mestiere, ma deve essere soprattutto un sostegno alla cultura democratica del paese nel suo insieme.

Fonte: BalcaniCaucaso


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