Lodi, ecco la sentenza che condanna il comune per discriminazione

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Nella lunga ordinanza del giudice Di Plotti il regolamento del Comune, che di fatto impediva alle famiglie straniere di avere tariffe agevolate per la mensa scolastica dei figli, costituisce una “discriminazione diretta”, perché tratta “diversamente soggetti nelle medesime condizioni di partenza e aspiranti alla stessa prestazione sociale agevolata”

 

MILANO – Un’amministrazione comunale può chiedere a una categoria di persone, che hanno bisogno di una prestazione sociale, requisiti in più rispetto a quelli già previsti per tutti? E questi requisiti aggiuntivi, non costituiscono una forma di discriminazione? Ruota intorno a queste due domande la battaglia legale che si è consumata al Tribunale di Milano sulla vicenda dei bambini stranieri esclusi dalle agevolazioni tariffarie delle mense scolastiche di Lodi. Da una parte due associazioni, Associazione studi giuridici sull’immigrazione e Naga, dall’altra il Comune di Lodi, che ha introdotto, nel regolamento sulla concessione delle prestazioni sociali, la richiesta ai cittadini non comunitari di presentare, oltre all’Isee, anche la documentazione, certificata dai consolati dei Paesi d’origine e tradotta, che dimostri che non hanno beni o redditi all’estero. Di fatto le famiglie di circa 200 bambini stranieri di Lodi non sono riusciti a produrre questa documentazione, perché nei loro Paesi non esiste il catasto o per inefficienza delle stesse amministrazioni pubbliche. Secondo la prima sezione del Tribunale di Milano, il Comune di Lodi così facendo ha messo in atto “una discriminazione diretta”.

Il giudice Nicola Di Plotti scrive chiaramente che un Comune non può prevedere nuovi requisiti o chiedere documentazione che non siano già previsti dalle norme nazionali, in materia di accesso alle prestazioni sociali. E dopo aver spiegato i contenuti delle norme in materia, in particolare il Dcpm 159 del 2013, arriva alla conclusione che “dall’analisi normativa che precede può evincersi come non esistano principi ricavabili da norme di rango primario che consentano al Comune di introdurre, attraverso lo strumento del Regolamento, diverse modalità di accesso alle prestazioni sociali agevolate, con particolare riferimento alla previsione di specifiche e più gravose procedure poste a carico dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea”. Quindi è solo con l’Isee che si determina se una persona ha diritto a una prestazione sociale. Eventuali controlli sulle condizioni economiche e patrimoniali dei cittadini, italiani e non, spettano all’amministrazione pubblica. Non spetta al cittadino dimostrare ulteriormente la veridicità di quanto è già certificato dall’Isee.

Ma le considerazione del giudice Di Plotti non si fermano qui. Direttive europee, sentenze della Corte Costituzionale e i decreti legislativi 286 del 1998 e 215 del 2003 stabiliscono “il principio generale della parità di trattamento tra cittadino italiano e straniero nei rapporti con la pubblica amministrazione e nell’accesso ai pubblici servizi”. Il regolamento del Comune di Lodi, pertanto, costituisce anche una “discriminazione diretta essendo trattati diversamente soggetti nelle medesime condizioni di partenza e aspiranti alla stessa prestazione sociale agevolata”.

L’ordinanza del Tribunale di Milano si conclude stabilendo che il Comune di Lodi dovrà “modificare il ‘Regolamento per l’accesso alle prestazioni sociali agevolate’ in modo da consentire ai cittadini non appartenenti all’Unione Europea di presentare la domanda di accesso a prestazioni sociali agevolate mediante la presentazione dell’Isee alle stesse condizioni previste per i cittadini italiani e dell’Unione Europea in generale”. Inoltre, “condanna il Comune di Lodi alla rifusione delle spese processuali in favore di Asgi – Associazione degli Studi Giuridici sull’Immigrazione e Naga liquidate in 5.000 euro per compensi, oltre al rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%”. (dp)

Da redattoresociale


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