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L’incubo digitale

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Dal 26 al 28 novembre scorsi si è tenuto l’annuale “Digital Italy summit” (organizzato da “The Innovation Group” e dal suo presidente Renato Masiero) con apertura di gala presso la Sala della Protomoteca del Campidoglio. A fare da ospite l’assessora all’innovazione (“Roma semplice”) Flavia Marzano. Chairperson Franco Bassanini.

L’iniziativa, ricca di sessioni e di tavoli di lavoro, è sembrata un tentativo di rilanciare la transizione sempre ammaccata dal vecchio sistema analogico all’era numerica. E, in effetti, non sono mancati contributi utili. Va citato, per tutti, quello del docente di Oxford Luciano Floridi, uno dei più blasonati riferimenti teorici: né on né l’off line, bensì solo l’ambiente dell’infosfera. Ed è utile evocare l’intervento dell’Associazione “Copernicani” con Emanuele Scotti sulla funzione della rete come luogo di partecipazione politica, ma finalmente senza toni perennemente o apocalittici o integrati.

Il digitale è un territorio aperto di conflitti e dalla qualità nonché dagli obiettivi di questi ultimi si capirà l’esito effettivo della vicenda. E’ vero che la vetrina dei paesi ad alto tasso di sviluppo (Estonia, Svezia, Regno Unito) ha decantato le magnifiche sorti: niente file, meno burocrazia, accorciamento della distanza tra governanti e governati. Mentre da noi per avere la carta di identità elettronica c’è una trafila tuttora lunghissima e le diverse aree di competenza nell’amministrazione spesso vivono come monadi separate. Tant’è che l’Italia naviga nei fondali bassi delle varie classifiche.

Dietro le affermazioni conclamate con fin troppa enfasi,  sembra –però- essere debole o assente, come talvolta è il segnale televisivo digitale terrestre (la cui entrata a regime fu accompagnata nell’era berlusconiana da un grottesco spezzatino regionale), un approccio netto e storicamente determinato. Vale a dire, l’essere il digitale non una mera tecnica, bensì un modo di produzione fondato sulla potenza di calcolo e un universo culturale. Con sintassi e grammatiche nuovi. Tra parentesi, l’eterna crisi della sinistra affonda le radici proprio qui, nello spiazzamento dovuto a modelli egemonici caparbiamente rimossi.

Fino a che i pregevoli summit non dismetteranno il vestito della prima comunione, per assumere il digitale come la normalità del reale –con i valori e i limiti del caso- con cui fare i conti ogni santo giorno, l’alba non sorgerà.

La ministra Bongiorno, che ha la competenza in materia, ha ribadito la personale buona volontà, in un discorso già un po’ sentito, con l’aggiunta colpevolizzante verso l’uso dell’inglese. Sarebbe una concausa delle difficoltà. Mah. Certamente, non si può addossare all’attuale titolare del dicastero il male del settore. Ma almeno colposo, se non doloso, è il disordine nelle attribuzioni dei ruoli. L’Agenzia per l’Italia digitale (a dirigerla ora è una determinata Teresa Alvaro) fa capo al Ministero della pubblica amministrazione, mentre il Commissario straordinario per l’attuazione dell’Agenda digitale risponde alla Presidenza del consiglio. E il caos delle funzioni è una delle origini dei guai. In verità, proprio il neo-commissario Luca Attias, dall’aria e dal look fuori dal coro, è stato la sorpresa della conferenza. Ha parlato di 12.000 rami decisionali da condurre a sintesi ed è sembrato avulso dalla retorica consueta. Sarà vera gloria?

Una nota politica. Il ministro per le riforma Fraccaro ha beatificato la democrazia digitale. Si vedrà. Il governo avrebbe stretto per questo buone relazioni con Google (e Facebook?). Già, lo dice spesso pure il vicepremier Di Maio. Domanda: 5Stelle sta con la rete o con i suoi oligarchi?


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