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Lettera aperta a Juve e Milan: non giocate in Arabia Saudita

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Caro Direttore, innanzitutto grazie per questo spazio che hai voluto offrirmi: è il segno concreto che le lotte per i diritti si fanno tutti insieme.
Negli ultimi giorni, in particolare dopo i fatti di San Siro in occasione di Inter-Napoli, abbiamo sentito ripetere continuamente alcune frasi: No alla violenza, No al razzismo, Basta con le parole, Bisogna agire.
E poi abbiamo letto una valanga di comunicati, di tweet, di post su facebook, anche da parte di società di calcio e di grandi campioni per esprimere vicinanza e solidarietà al difensore del Napoli Koulibaly.
Benissimo. Se cresce il fronte antirazzista è una vittoria di tutti coloro che credono nei valori della Costituzione italiana.
Ma. C’è un grande “ma”. Un “ma” che è cresciuto in queste ore.
Ma allora perché la Lega Calcio di Serie A ha scelto di andare il 16 gennaio a giocare la finale di Supercoppa italiana in Arabia Saudita?
L’Arabia Saudita è una monarchia assoluta e non ha il parlamento.
L’organizzazione non governativa Freedom House ogni anno pubblica il rapporto “Libertà nel mondo” assegnando un punteggio ad ogni Paese basato sul rispetto dei valori enunciati nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (che lo scorso 10 dicembre ha compiuto 70 anni). In questa classifica, l’Arabia Saudita viene dichiarata come Paese “not free”, “non libero”.
L’Italia vende all’Arabia Saudita bombe che vengono utilizzate nella guerra contro lo Yemen, anche per colpire civili.
Inoltre, il principe ereditario saudita, Mohammed Bin Salman, è al centro di uno scandalo internazionale, chiamato in causa nell’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi, avvenuto il 2 ottobre scorso nel consolato saudita a Instabul (Turchia).
Un assassinio brutale. Secondo alcune fonti, il suo corpo sarebbe stato fatto a pezzi. Si piange per un giornalista, il cui corpo non è mai più stato trovato.
Per queste ragioni l’Usigrai, il sindacato delle giornaliste e dei giornalisti della Rai, ha chiesto alla Lega Calcio, alla Juventus e al Milan, di ripensarci e di non giocare la Supercoppa italiana in Arabia Saudita.
Non possiamo un giorno indignarci per i cori razzisti nei nostri stadi e poi il giorno dopo andare a giocare in un Paese dove sono quotidianamente violati i diritti umani.
Come perfettamente hai detto tu, caro Direttore, in una intervista a Radio1Sport Rai: “Il nostro calcio si è piegato alla logica del business, perché diverse società sono continuamente alla ricerca di nuovi introiti e passano sopra a qualunque tipo di questione etica”.
E così la Lega Calcio ha stabilito che i diritti umani valgono 7 milioni di euro: ovvero la cifra che il regime saudi ta verserà nelle sue casse per la Supercoppa.
7 milioni per 3 anni: più di 20 milioni di euro.
Tanto vale per la Lega Calcio la scelta di chiudere gli occhi sul brutale assassinio di Jamal Khashoggi.
Ma se l’Italia non ha interrotto i rapporti diplomatici e commerciali con l’Arabia Saudita perché il calcio dovrebbe rinunciare a quel contratto?
Perché il calcio, lo sport, non sono – non devono essere – una impresa come un’altra.
Il calcio e lo sport producono talento.
Sono veicolo di valori.
Quello che avviene nei campi di gioco diventa esempio per milioni di bambini e ragazzi.
Perché il calcio e lo sport vivono della passione dei tifosi.
Producono emozioni.
E per questo mobilitano masse come ormai pochi altri fenomeni sociali.
E allora il calcio ha un dovere: anteporre i valori a qualunque scelta di profitto e di business.
Nessun contratto, nessun guadagno può giustificare il chiudere gli occhi di fronte alle violazioni dei diritti umani.
Per questo il calcio italiano ha il dovere di ripensarci: in Arabia non si può e non si deve andare.
La Lega Calcio ci ripensi.
La Juventus e il Milan facciano sentire la propria voce.
Tutto il movimento del calcio prenda posizione.
Le istituzioni scendano in campo.
Intanto noi giornaliste e giornalisti continuiamo a dire no alla Supercoppa in Arabia Saudita, continuiamo a raccontare cosa avviene in quel Paese.
E facciamolo insieme. Senza distinzioni di azienda né di testate.
Perché le battaglie per la libertà e i diritti si vincono solo se si lotta tutti insieme.
Si vincono solo con il “noi”.
Concludo quindi con un appello a tutti i direttori di quotidiani, radio, tv, siti sportivi: ritroviamoci presto intorno a un tavolo per lanciare una iniziativa comune per dire no alla Supercoppa in Arabia Saudita.
La sede dell’Usigrai è a disposizione: potrebbe essere l’occasione per stimolare noi “un nuovo inizio, una nuova partenza” del nostro calcio.
E potremmo aiutarlo a ripartire dai valori, dal ruolo sociale, dai diritti, dalla solidarietà. Quindi, dalla nostra Costituzione.


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