La protesta dei penalisti italiani per le garanzie costituzionali e contro l’imbarbarimento del processo

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Continua la protesta dei penalisti italiani contro la deriva giustizialista delle scelte di politica giudiziaria dell’attuale maggioranza di Governo ritenute tali da intaccare irrimediabilmente il sistema di garanzie che salvaguardano la giustizia penale.

L’Unione delle Camere Penali Italiane – da sempre in prima fila nelle battaglie per la tutela dei diritti fondamentali ed artefice della costituzionalizzazione del principio del giusto processo nell’art. 111 Cost. – in particolare, attacca il disegno di legge in materia di “Misure di contrasto dei reati contro la P.A.”, il c.d. “spazzacorrotti”, approvato col voto di fiducia dal Senato il 13 dicembre, che prevede, grazie ad un emendamento governativo, la sospensione sine die dei termini prescrizionali dopo la sentenza di primo grado, sia di condanna che di assoluzione.

Tale disegno di legge ha suscitato l’unanime reazione critica della intera comunità dei giuristi con l’immediata dichiarazione dello stato di agitazione degli avvocati penalisti, seguita dalla successiva proclamazione di quattro giorni di astensione dalle udienze penali dal 20 al 23 novembre, iniziativa condivisa dal Consiglio Nazionale Forense e da tutte le componenti dell’avvocatura italiana che hanno preso parte – insieme alla più estesa e qualificata comunità di docenti di diritto penale, procedura penale e diritto costituzionale – alla manifestazione nazionale al Teatro Manzoni di Roma (qui il link agli interventi: https://bit.ly/2EzBu5C).

Nonostante la calendarizzazione della discussione in aula faccia trasparire chiaramente la volontà del legislatore di chiudere la partita dell’approvazione entro e non oltre il prossimo 22 dicembre – con buona pace, quindi, delle preoccupazioni da più parti sollevate – il disegno di legge, nella parte in cui interviene sull’istituto della prescrizione del reato, risulta contrastare apertamente con diversi principi della Costituzione e della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

Nello specifico, infatti, è evidente che bloccare il decorso della prescrizione dopo il primo grado di giudizio, anche in caso di assoluzione, significherebbe stravolgere la presunzione di innocenza, garantita sia dall’art. 27, co. 2, Cost., che dall’art. 6 § 2 CEDU, avallando, al tempo stesso, il teorema davighiano per cui non ci sono innocenti ma solo colpevoli non ancora scoperti; inoltre, metterebbe a repentaglio la ragionevole durata del processo prevista dagli artt. 111, co. 2 , Cost.  e 6 § 1 CEDU, da sempre punto dolente del nostro processo che ha portato l’Italia ad essere ripetutamente condannata dalla Corte di Strasburgo; da ultimo, una condanna che dovesse essere eseguita molti anni dopo rispetto al momento in cui il reato è stato commesso verrebbe a frustrare la funzione rieducativa della pena prescritta dall’art. 27, co. 3 Cost. trovando un destinatario sostanzialmente cambiato rispetto a quello originario.

Neppure le legittime aspettative delle vittime del reato, inoltre, potrebbero ottenere soddisfazione da un processo infinito.

Ecco perché, realisticamente ed al di fuori di slogan populisti, incidere sulla prescrizione come prospettato non serve ad altro se non ad allungare ulteriormente i già insostenibili tempi della giustizia italiana senza prendere in considerazione la causa di tale congenita patologia da ravvisarsi nell’organizzazione dei singoli uffici giudiziari; le statistiche nazionali rivelano, infatti, che in presenza di una buona organizzazione del lavoro gli attuali termini prescrizionali sono idonei a garantire il completo svolgimento del processo penale, ragion per cui lo Stato, in ultima analisi, anziché pretendere di intervenire sull’eccessiva durata dei processi comprimendo i diritti fondamentali delle persone in essi coinvolte, dovrebbe farsi carico del potenziamento e della razionalizzazione delle risorse per assicurare ai cittadini il buon funzionamento della giustizia.


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