Il duro lavoro del solerte cronista che segue per “Key4biz” alcune iniziative rilevanti in materia di politica culturale ed economia mediale è sottoposto talvolta ad intenso stress: al di là della sempre più frequente coincidenza temporale degli eventi (non esiste un “calendario” di riferimento e paradossalmente il web non sembra essere di aiuto: talvolta anche due o tre iniziative in assurda contemporanea, e con lo stesso target!), quel che impressiona è la frequente ripetitività delle tesi, e la noia che alla fin fine pervade quella sorta di “compagnia di giro” che frequenta questi consessi (tra operatori del settore e rappresentanti istituzionali e giornalisti specializzati)…
Spontaneo sorge il quesito: “cui prodest?”.
La risposta è ardua, perché spesso il senso di queste iniziative sfugge proprio. Autoreferenzialità a parte, sia ben inteso, narcisismo incluso. Non sempre queste iniziative, peraltro, beneficiano di visibilità e notiziabilità, anche se si rivelano di buon livello… Talvolta, nemmeno un trafiletto sulla stampa quotidiana… Talvolta, nemmeno un dispaccio di agenzia… Talvolta, soltanto una piccola citazione sul web…
Talvolta, questi convegni e seminari ed incontri risultano stranamente affollati, ma poi si scopre che “producono crediti” per gli obblighi di aggiornamento professionali imposti dagli ordini dei giornalisti e/o degli avvocati… Talvolta, la sala è affollata da studenti di master e corsi più o meno improbabili, simpaticamente costretti a partecipare dai rispettivi docenti…
Non sempre i promotori hanno nemmeno la grazia di prevedere “streaming” e “chance di download” per chi non ha chance di partecipare (e benemerita qui è spesso RadioRadicale). Con buona pace della retorica del digitale e della disseminazione democratica dei risultati.
Quest’articolo propone una “insalata”, che ci auguriamo in qualche modo saporita, oltre che ricca: considerando che alcune di queste iniziative sono state già oggetto delle attenzioni giornalistiche di “Key4biz”, qui proponiamo una lettura critica in chiave “sistemica”, con una illusione di organicità scenaristica.
Venerdì 23 novembre, presso la Federazione Nazionale della Stampa Italiana (Fnsi), si è tenuto un affollato seminario (vedi “Informazione, rapporto Agcom. Il 57 % delle fake news in politica e cronaca”, su “Key4biz” del 23 stesso) che merita essere ricordato per almeno tre elementi: la presentazione della ricerca realizzata dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni “News vs. fake nel sistema dell’informazione”, diretta da Marco Delmastro (che guida il Servizio Economico e Statistico dell’Agcom), la allarmante presentazione di Michele Mezza (che ha disegnato scenari cupi), le relazioni dei Commissari Mario Morcellini, Antonio Nicita, Francesco Posteraro (li citiamo in… ordine di “preoccupazione” decrescente, rispetto ai fenomeni in atto). Abbiamo iniziato a leggere il corposo rapporto di ricerca Agcom, e stiamo cercando di comprendere – soprattutto attraverso l’apparato metodologico – con quale perimetro di monitoraggio e potenza di calcolo l’Autorità, in collaborazione con la società Volocom, possa sostenere di aver realizzato uno studio su… milioni di dati, provenienti da più di 1.800 fonti di informazione (e disinformazione), attraverso circa 700 principali notizie, sia false sia reali, un campione di 14mila individui rappresentativo della popolazione italiana, e decine di milioni di account social pubblici… Lo studio sostiene la tesi secondo la quale le “fake news” e le notizie reali avrebbero in Italia una durata d’interesse simile, ma il dato preoccupante riguarda la distribuzione, poiché le “fake news” otterrebbero molta più visibilità rispetto a quelle reali. Al di là dello studio (e della sua affidabilità), emerge prepotente un’esigenza, sempre più condivisa (avversata soltanto dai liberisti estremisti): Agcom deve essere quanto prima dotata normativamente di poteri di intervento nell’arena internet, altrimenti prevarrà un “Far West” ben più pericoloso di quello che veniva evocato, decenni fa, allorquando le emittenti televisive e radiofoniche private scardinarono il monopolio della Rai. Pur nella certezza che la viriliana velocità della tecnologia sarà sempre maggiore della velocità della politica (normazione e regolazione), non si può assistere inerti a quel che sta accadendo, mentre gli “over-the-top” sorridono beati, guardando gli Stati nazionali come piccole province dei nuovi loro imperi digitali… Domanda semplice semplice: qualcuno al Governo o in Parlamento sta ragionando sull’esigenza, urgente, di estendere e rafforzare i poteri dell’Agcom?! Questo rafforzamento dovrebbe essere promosso e messo in atto prima che arrivi a scadenza il settennato dell’attuale consiliatura (luglio 2018), affinché i Commissari che verranno possano disporre di una strumentazione finalmente adeguata.
Lunedì 26 novembre, presso la Sala della Protomoteca di Roma Campidoglio, è stata presentata la nuova edizione (la terza) del rapporto “Digital Nation 2018. Building a Digital Nation” (per i tipi di Maggioli), promosso dalla società di consulenza The Innovation Group: corposo tomo (quasi 400 pagine, si veda la recensione su “Key4biz” del 27 novembre, nella rubrica “Bibliotech”), di ardua leggibilità (anche a causa di un layout grafico discretamente vetusto), e di dubbia capacità di sintesi. Abbiamo letto con curiosità ed attenzione il capitolo dedicato alla cultura, ovvero ai beni culturali e specificamente al turismo culturale, registrando l’ennesima denuncia dei ritardi e dei deficit sia del sito web del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali sia dell’Enit, ma si tratta di criticità stranote da anni, almeno per tutti gli addetti ai lavori. Basti ricordare che il sito web dell’Enit è proposto in 11 lingue, mentre il portale dello Stato francese su cultura e turismo in 30 lingue… Ma, nonostante le critiche e finanche le denunce, tutto sembra restare da anni maledettamente congelato. E la presentazione del rapporto “Digital Nation 2018”, si domanderà il lettore?! Dopo la sortita della neo-direttrice (da alcuni mesi) dell’Agenzia per l’Italia Digitale, Teresa Alvaro, e la relazione del professor Carlo Alberto Carnevale Maffé (insegna strategia d’impresa alla Sda Bocconi), l’intervento che ha un po’ scosso la platea è stato quello della giovane e fascinosa Ambasciatrice d’Estonia in Italia, Celia Kuningas-Saagpakk: in modo semplice, sintetico, efficace ha descritto come il suo Paese ha deciso di investire realmente sul digitale, ottenendo nell’arco di pochi anni risultati assolutamente concreti, e peraltro con un risparmio complessivo, grazie alla digitalizzazione dell’intera nazione – si stima – del 2 per cento del prodotto interno lordo. Secondo l’Ambasciatrice, con una carta d’identità elettronica dotata di un evoluto chip, i cittadini estoni possono accedere alla quasi totalità dei servizi delle pubbliche amministrazioni (la firma con la penna è un ricordo del passato), ed attraverso questo documento un 30 % dei cittadini ha partecipato alle elezioni digitalmente, restando comodamente a casa… Pensando ai tempi che sono ancora necessari, in una città come Roma, per ottenere una carta d’identità elettronica peraltro sostanzialmente priva di funzionalità, ci è venuto un po’ da piangere (o da ridere). L’Ambasciatrice si è messa a ridere, ricordando come in Italia, per qualsiasi istanza della pubblica amministrazione, le venga chiesto di firmare con penna su infiniti pezzi di carta…
Martedì 27 novembre, presso lo Spazio Europa ovvero la “Sala delle Bandiere” della sede romana dell’ufficio italiano della Commissione Europea, la presentazione di una ricerca sul cyberbullismo promossa dal Corecom Lazio (Comitato Regionale per le Comunicazioni), presieduto da Michele Petrucci, nell’evento “Comunicazione, Cyber-bullismo e Media Education”. La ricerca sembra interessante, anche se è stato per ora anticipato soltanto un “abstract” dello studio “Web reputation e comportamenti online degli adolescenti in Italia”, frutto di una convergenza di ben 4 centri di ricerca (Oss-Com Centro di Ricerca sui Media e la Comunicazione dell’Università Cattolica “del Sacro Cuore”; Università degli Studi di Napoli “Federico II”; Università degli Studi “La Sapienza” di Roma; Università Lumsa di Roma). Nei primi mesi del 2016 una ricerca OssCom per il Corecom Lombardia ha fotografato l’esperienza che i giovani lombardi realizzano quotidianamente “online”, concentrando l’attenzione sulle piattaforme di “social media” più frequentate e sulle pratiche comunicative più diffuse, anche al fine di individuare i comportamenti più rischiosi e le strategie più efficaci nella gestione della reputazione web. A diciotto mesi di distanza, su iniziativa dei Corecom di Lombardia, Lazio e Campania, è stata realizzata una ricerca congiunta nelle 3 regioni, con l’intento di estendere la base dei dati, aggiornare le conoscenze in merito a questi fenomeni, e confrontarsi sugli elementi di forza e di criticità rilevabili in prospettiva “cross‐regionale”. I risultati che emergono dalla ricerca non sembrano particolarmente preoccupanti, e ciò ci ha stupito non poco: si legge infatti che “gli adolescenti italiani intervistati sono abbastanza consapevoli dei rischi dei social media. Tuttavia, essi non rinunciano all’uso di questi ultimi, piuttosto preferiscono adottare strategie di gestione della propria reputazione online al fine di minimizzare i rischi o ridurre i danni, sia in funzione correttiva, sia in funzione preventiva”. Si osserva che “coloro che impostano il proprio account-profito in modalità ‘pubblica’, ovvero visibile a tutti, hanno circa il 10 % di probabilità in più di sperimentare i rischi di bullismo, sexting e abuso di dati personali, rispetto a chi un profilo-account ‘privato’, ovvero visibile solo agli amici”. Attendiamo comunque di leggere il rapporto di ricerca completo. Il seminario di presentazione ci ha comunque fornito l’impressione di un discreto “scollamento” tra l’analisi dei fenomeni da parte degli studiosi e le iniziative delle istituzioni: deludente l’intervento di Angela Nava, Presidente del Consiglio Nazionale degli Utenti (Cnu), organo ausiliario dell’Agcom la cui fantasmica esistenza abbiamo cercato di evocare più volte su queste colonne, ma perplessità profonde sono emerse anche dall’intervento della Presidente del “Comitato Media e Minori” del Ministero dello Sviluppo Economico (Mise), Donatella Pacelli. Livello di sensibilità critica molto modesto, toni pacati e contenuti moderati, eppure siamo convinti che il motivetto di Nunzio Filogamo sia adatto anche in queste lande incerte: “tutto va ben, madama la marchesa”, allorquando – in verità – la casa sta andando a fuoco. Basti pensare ai giovani che sono arrivati a suicidarsi a causa di usi impropri del web, basti pensare al terribile ritardo della scuola italiana rispetto a pratiche di alfabetizzazione digitale inesistenti, basti pensare al fenomeno della pornografia internet incredibilmente rimosso da tutte le italiche istituzioni… Ci domandiamo a cosa servano il Cnu ed il Comitato Mise, a fronte della loro assoluta debolezza, causata anche – ma non soltanto – da risorse così modeste da rendere assolutamente inconsistente la loro stessa attività (al di là della buona volontà di chi partecipa ai lavori).
Mercoledì 28 novembre, presso la Sala Capitolare del Senato, i senatori Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliarello hanno promosso un incontro della Fondazione Italia Protagonista e della Fondazione Magna Charta, che ha registrato una sala affollata assai ed un “panel de roi”, ovvero i presidenti di Rai, Siae, Mediaset, Gruppo Monti (e Fieg), Anica, con la strana assenza (totale) dell’Agcom. Il titolo dell’iniziativa evidenziava inequivocabilmente l’approccio ideologico: “La proprietà è un furto? Come si abolisce il diritto di autore e si saccheggiano i contenuti al tempo della rete”. Tutti sostanzialmente d’accordo, una sorta di “santa alleanza”, anche perché i promotori non hanno certo cercato il confronto dialettico con l’avversa parte, ovvero con coloro che contestano anzitutto il perdurante sostanziale monopolio della Società Italiana Autori Editori (Siae) e con coloro che si sono opposti rispetto alla recente direttiva europea sul diritto d’autore. Unica voce non proprio sintonica, ma nemmeno particolarmente polemica, quella di Elio Catania, Presidente di Confindustria Digitale. Abbiamo ascoltato qualcosa di nuovo? No. Tesi già note, anzi stranote, peraltro sinteticamente rappresentante in modo efficace ed arguto dall’avvocato Giorgio Assumma. Come definire altrimenti il discorso di Gasparri?! “Le nuove tecnologie di comunicazione e il digitale offrono infinite opportunità di conoscenza e di diffusione del sapere, ma rischiano anche di ammazzare del tutto il diritto d’autore: un diritto che va tutelato dai continui saccheggi del web”. A parte dettagli coreografici ed iconici spiacevoli: troviamo scorretto che, in simili occasioni, allorquando i presidenti di Rai e Mediaset si trovano allo stesso tavolo, venga data la parola per primo a Fedele Confalonieri e soltanto dopo a Marcello Foa: capiamo il diritto di precedenza per “anzianità” (il “Comandante” ha 81 anni, il “Sovranista” 55), ma restiamo convinti che il “pubblico” debba anche simbolicamente venire prima del privato, e crediamo ancora nel primato del servizio pubblico radiotelevisivo, che è istituzione prima che impresa. Riteniamo di aver assistito in Senato ad una dichiarazione di sostegno da parte del centro-destra contro coloro che continuano ad avere la Siae nel mirino, e si tratta soprattutto della componente grillina dell’attuale esecutivo. Se il Presidente della Rai si è limitato ad auspicare – in un intervento di tipo minimalista – che prevalga “il buon senso”, il Presidente di Mediaset ha confermato la propria “vis polemica”: Confalonieri si è detto allibito per il fatto “che ancora oggi si debba discutere se pagare o non pagare un servizio… E a sostenere questa linea, sono coloro nelle mani dei quali siamo messi tutti. Mi domando cosa c’è sotto. D’altronde era Rousseau che parlava della proprietà privata come di una maledizione, e ‘Rousseau’ mi ricorda anche qualcos’altro”, ha sostenuto, con evidente riferimento alla controversa piattaforma M5… Giulio Rapetti alias Mogol, Presidente Siae (proprio nel giorno in cui il suo ruolo è stato ufficializzato anche in Gazzetta Ufficiale) ha usato poche parole per spiegare come risponderebbe a chi sostiene che l’abolizione del diritto d’autore è una questione di “libertà”: “sí, è la libertà di appropriarsi della proprietà altrui”. In questi giorni, si sviluppa la triangolazione (la procedura cosiddetta “trilogo”) tra Consiglio, Commissione e Parlamento europei per trovare l’accordo sul testo finale della direttiva. Gli articoli più controverso sono due: il numero 11, sulla contrattazione delle licenze d’uso tra produttori di contenuti e operatori del web – in primis gli “ott” (alias “over-the-top”) – per retribuire, per esempio, i cosiddetti “snippet” (i brevi riassunti testuali che appaiono nelle pagine di risposta di Google); il numero 13, sull’obbligo per gli stessi “ott” di munirsi di strumenti che impediscano il caricamento di contenuti protetti da copyright senza il permesso di chi detiene i diritti… Il Governo italiano, la cui componente pentastellata si è sempre detta contraria alla nuova normativa, non sembra intenzionato ad alzare barricate. Tuttavia, mentre il convegno romano era in corso, Palazzo Chigi ha confermato il proprio “no” sull’articolo 13, mentre sull’articolo 11 i livelli comunitari starebbero tenendo conto delle obiezioni venute da Roma… Il Sottosegretario (grillino) al Mibac Gianluca Vacca ha dichiarato all’agenzia Dire, poco dopo che il convegno s’era concluso: “la riforma Ue del Copyright può e deve essere migliorata, perché la nuova Direttiva votata a settembre resta ambigua e pericolosa, così come lo era il testo bocciato a luglio. Su questo, il Governo italiano continuerà a dare battaglia in sede di negoziato europeo… Nessuno disconosce l’importanza del diritto d’autore e la necessità che esso venga adeguatamente tutelato, ma la strada scelta è sbagliata: il nodo sono sempre gli articoli 11 e 13, che continuano ad essere una minaccia al diritto di condividere liberamente l’informazione, alla libertà di espressione in rete. Se la riforma venisse approvata senza le opportune modifiche, a trarne vantaggio sarebbero soprattutto i colossi del web e le grosse testate d’informazione, a scapito dei creatori più piccoli e dei cittadini. Serve una riforma al passo coi tempi, non una che impone notevoli restrizioni, andando a colpire non solo gli utenti, ma anche gli stessi autori”. Insomma, la Siae non può dormire sonni tranquilli, nonostante il tentativo di ombrello protettivo della “santa alleanza”. La questione resta complessa ed intricata, ed il rischio di sabbie mobili è sempre latente. Quel che ci sembra sia mancato nel corso dei mesi scorsi e manchi comunque ancora è una vera occasione di confronto serio, tecnico e politico e strategico (per il “sistema Italia” ovvero le sue industrie culturali e digitali tutte), tra le due avverse fazioni.
Quale conclusione può trarsi da queste quattro iniziative, nella loro diversità, in un tentativo di sintesi estrema?!
Molte chiacchiere in libertà, tanto déjà vu e tanto déjà entendu, poche analisi approfondite, deficit di autentico confronto tecnico e dialettico. Così va l’Italia. Discretamente male, navigando a vista, in perdurante assenza di una regia strategica e sistemica.
*Presidente Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult