Dieci anni senza Calo Caracciolo, straordinario editore e artefice dell’ultima stagione veramente olivettiana del giornalismo italiano, scomparso il 15 dicembre 2008 all’età di ottantatre anni.
Dieci anni senza il principe, un galantuomo a tutti gli effetti, sempre elegante senza mai scadere nel ridicolo o nel pacchiano. Del resto, possedeva l’eleganza naturale dei Caracciolo di Castagneto, gli stessi della sorella Marella, moglie dell’Avvocato Agnelli e al centro di un’avventura lunga mezzo secolo.
Nel principe Caracciolo era presente la stessa passione politica e civile che caratterizzava l’ingegner Olivetti: da qui l’entusiasmo nel far nascere Repubblica, da qui il suo costante sostegno al giornale, da qui la sua visione alta e nobile della società e della politica, improntata alla realizzazione di una sinistra liberale e azionista, in grado di andare al di là di steccati e divisioni ormai prive di senso e di costruire uno spazio nuovo, una comunità più ampia, di riunire ciò che per troppo tempo era stato artificiosamente diviso.
Caracciolo era animato dall’idea di dover contribuire attivamente alla costruzione di una società migliore, di dover investire il proprio denaro per garantire un’informazione di qualità, di dover rendere i cittadini protagonisti della crescita e dello sviluppo del Paese, dunque consapevoli, attenti, innamorati della cultura e pronti a dar vita ad una comunità in cammino.
Dieci anni senza la sua limpidezza di ideali, dieci anni di solitudine e sconfitte, dieci anni nel corso dei quali tanti altri maestri e punti di riferimento ci hanno detto addio, dieci anni nei quali lo stesso Gruppo L’espresso ha cambiato volto, c’è stata la fusione con La Stampa, è nato GEDI e un po’ di quella comunità e di quello spirito sono oggettivamente venuti meno.
Eppure, l’impronta di Caracciolo è rimasta, la sua lezione morale ed editoriale è ancora tra noi, la sua eredità è solida e i gioielli che essa ha prodotto costituiscono tuttora un patrimonio collettivo e un arcipelago di conoscenza nel mare aperto della barbarie e della ferocia gratuita.
Il principe Caracciolo era un galantuomo che guardava lontano, un visionario che non si vergognava di esserlo, proprio come Olivettii, a modo suo un combattente che non ha mai smesso di credere nella possibilità di donare al prossimo la meraviglia che solo il sapere e la conoscenza possono generare.
Lo ricordiamo con gratitudine e affetto, con la nostalgia di chi sa che di un giornalismo libero e di qualità la democrazia ne ha, oggi più che mai, bisogno, con la commozione di appassionati lettori e, nel mio caso, con l’orgoglio di aver scelto, poco prima che se ne andasse, un mestiere cui è affidata una missione politica e civile che, specie a sinistra, costituisce anche un dovere, per non lasciar inaridire il terreno che tanti frutti di indipendenza e progresso collettivo ha fatto germogliare nel tempo.
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